Sotto un altro cielo – Claudio Volpe

di GAETANINA SICARI RUFFO – L’immigrazione è l’argomento del giorno, un fenomeno ormai divenuto quotidiano, lacerante e terribile, che coinvolge numerose vite umane che fuggono dalle loro terre a causa di guerre, persecuzioni, distruzioni, fame, miseria, nel tentativo di sopravvivere. Ha innestato uno squilibrio che è sotto gli occhi di tutti, ha diviso la politica e l’opinione pubblica, ha ridestato il razzismo e spinto a una dura lotta tra chi difende i poveri rifugiati inermi che riescono a salvarsi e chi sospetta che tra loro si nascondano terroristi. Hanno rinfocolato odi e malesseri, ma suscitato altresì sentimenti di profonda pietà e tenerezza.

D’altronde è noto come sia fatta la natura umana, capace talvolta di altruismi eroici, a volte, ma anche di divisioni, di rancori e di estremi egoismi. Il libro Sotto un altro cielo (Laurana, pp. 176, € 14,00), curato da Claudio Volpe, si fa portavoce di nobili sentimenti e rappresenta i dolori, le delusioni, le sofferenze, gli strazi di tanti sventurati che continuano a imbarcarsi con la fervida speranza di trovare un angolo di terra, che li accolga in pace ed assicuri loro un futuro possibile.

Sono storie inventate, ma verosimili. La loro essenza proviene non da un filtro d’invenzione, ma dall’urto della realtà che sconvolge e da sola ha l’efficacia di uno scenario vivo e palpitante. Sono uomini stanchi e stremati, donne coraggiose, bambini teneri e dolci come Aylan Kurdi descritto da Dacia Maraini nel primo racconto, suggeritole da un fatto reale che ha commosso tutti: Un corpo gettato via. Nella Postfazione viene spiegato come è nata l’idea di scrivere una raccolta di storie sull’immigrazione e come sono stati contattati i narratori interpreti dei dieci racconti che costituiscono il presente libro.

Che grande rimpianto suscita nell’animo la sorte di Leonie (Fuamba), profuga della Libia, madre di cinque figli, donna di grande bellezza e dignità, descritta da Francesca Pansa, ormai quasi giunta alla meta, il cui corpo però s’infrange sulle rocce, mentre avrebbe meritato di vivere e riposare dopo tanti sacrifici sofferti. Ognuno con una loro identità, con un’aspettativa del futuro che, se da una parte aiuta a mettersi in viaggio quasi con niente, dall’altra costituisce l’affanno estremo che spesso s’annulla insieme alla vita. Questo secolo non potrà mai dimenticare la loro infinita tragedia che cambierà il volto della storia. Avevamo immaginato un secolo di progresso e di sviluppo. Avevamo lavorato per ottenerli! Che delusione ritrovare ancora nuovamente le guerre, le bombe, l’Isis con i suoi lager, come nel racconto di estrema crudeltà di Claudio Volpe, Le donne di ferro, lo strazio di tanta gente defraudata della vita e della pace!

E dopo che si arriva alla meta che cosa attende i profughi? Il loro avvenire non sono certo rose e fiori! Un penoso cammino devono ancora percorrere per trovare un lavoro, per sbarcare il lunario, giorno per giorno, mentre tutto sembra congiurare per togliere la dignità di uomo, pure quella invisibile. Succede ad Adil della Siria, nel mondo dei braccianti della Valle del Sele, nel racconto narrato da Gianfranco Fiore: Due atmosfere. La pena prende il lettore alla gola e trasforma la sua realtà. Ci si vergogna quasi di aver passato notti serene, mentre tanta gente lottava nel buio per la vita.

Ha ragione lo scrittore Paolo Di Paolo (ne L’ignoranza) nell’affermare che l’unica cosa che si possa fare per aiutare questi poveri profughi è usare la parola per raccontare storie, che servano a presentare il gorgo oscuro dentro il quale sono caduti, prenderne coscienza e vincere il malanimo che potrebbe sopraggiungere. Non è un brutto sogno, ma una faccia della verità che molti ignorano. Bisogna prenderne atto, perché può darsi che se uno aiuta l’altro a raccontare la propria storia, si inauguri una letteratura dell’immigrazione, che racchiuda dentro di sé le lacrime versate, ma susciti anche il conforto fraterno di chi ascolta, un po’ come il libro Cuore di Edmondo De Amicis, maestro della generazione dell’Ottocento, consegnatoci come un capolavoro.

Gaetanina Sicari Ruffo

(www.excursus.org, anno IX, n. 79, gennaio 2017)