di ALBERTO BONOMI – Nel 2016 in Turchia 15.000 insegnanti sono stati sospesi, 1.500 docenti universitari sono stati costretti a dare le dimissioni, 6.000 membri dell’esercito sono stati arrestati, 3.000 giudici sospesi. Perché? La risposta ce la dà Ece Temelkuran nel suo libro Turchia folle e malinconica (traduzione di Jordan K. Baldassini, Spider & Fish, pp. 258, € 18,00): è una fra le giornaliste che sono state licenziate per aver riportato fatti e cronache che sono risultati scomodi al presidente della Turchia Recep Tayyp Erdogan e al suo partito AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo). Nel 2016, infatti, Erdogan ha saputo sfruttare a suo vantaggio un fallito colpo di Stato, usandolo come scusa per rafforzare la sua autorità tramite una vasta campagna di repressione.
Erdogan è al potere in Turchia dal 2002, e porta avanti una graduale politica di re-islamizzazione del paese contraria alla linea di radicale laicismo introdotta da Mustafa Kemal (Atatürk, il “grande turco”), il fondatore della moderna Turchia negli anni Venti. Questa linea politica, unita al grave episodio dell’abbattimento di un aereo russo che avrebbe violato lo spazio aereo della Turchia durante la guerra in Siria, ha portato alcuni reparti dell’esercito a tentare il golpe il 15 luglio del 2016. Il suo fallimento ha avuto come conseguenza una repressione ampia e radicale del regime di Erdogan verso gli oppositori, per allineare quanto ancora resisteva di libero o era capace di fare opposizione alla linea governativa. Ece Temelkuran, quindi, a tutt’oggi per scrivere liberamente continua a fare la giornalista da Zagabria, in Croazia, dove ha scelto di trascorrere il suo esilio.
Nel suo prezioso libro Ece Temelkuran traccia una narrazione del suo Paese molto più ampia di quanto ci si potrebbe aspettare, partendo dalle origini della moderna Repubblica della Turchia nel primo dopoguerra fino agli eventi di Gezi Park a piazza Taksim nel 2013, sull’onda della primavera araba. Ma non solo: accanto alle radici del suo paese, Ece Temelkuran descrive anche la società turca che la circonda oggi e traccia il possibile futuro che l’aspetta, che, diciamolo subito, non è roseo (l’opera è infatti divisa in tre parti: Ieri; Oggi; Domani).
Per Ece Temelkuran, la Turchia è ormai un paese in preda alla retorica populista del suo leader Erdogan, che, come ogni leader populista che si rispetti, mantiene il potere reprimendo l’opposizione e presentandosi al popolo come “uno del popolo”, presentandosi cioè come l’uomo che finalmente ha restituito il potere al popolo stesso, togliendolo alle èlite intellettuali e/o diverse da quelle che definiscono la parte conservatrice del paese (cioè la parte islamica). Il tutto condito da adeguati richiami al nazionalismo – dove la vittima stavolta è la nazione intera che deve difendersi dai suoi oppositori esterni, così come il suo leader da quelli interni.
A tutto ciò, Ece Temelkuran risponde con pragmatismo, ironia e numeri alla mano. La Turchia, comunque la si pensi, riporta dei numeri allarmanti dal punto di vista del rispetto dei diritti umani, e questo è un fatto, perché i numeri non mentono.
La Turchia, riporta la giornalista, è un paese in cui: «il femminicidio è aumentato del 1400% negli ultimi sette anni; in otto anni di amministrazione dell’AKP, circa 180 persone, per la maggior parte giovani e alcuni ancora bambini, sono state uccise da pallottole della polizia, e nessuno dei poliziotti è stato condannato; centinaia di arrestati sono stati giudicati in processi politici che si basano su falsi indizi e in cui sono stati allestiti tribunali dentro (!) le nuove prigioni costruite come campi di concentramento; centinaia di giornalisti sono stati licenziati dopo una telefonata fatta ai loro editori perché scrivevano proprio di tutto ciò».
La moderna Turchia, conclude Ece Temelkuran, è il prodotto di vent’anni di populismo e rappresenta al contempo un monito per ogni paese, compreso il nostro, a non lasciarsi tentare dalla retorica populista – perché solo una mente debole ha bisogno dell’uomo forte.
«Negli ultimi dieci anni il governo dell’AKP sotto Recep Tayyip Erdogan ha creato una egemonia politica e sociale talmente vasta che a ogni opposizione manca la base. Giganteschi scandali per corruzione, morte in massa di minatori, figure vergognose in politica internazionale, tutto, proprio tutto viene rigirato a favore del potere, con lo sgomento dei dissidenti. Mentre la critica è diventata impossibile, la gente comune comincia a credere di avere il telefono sotto controllo».
Alberto Bonomi
(www.excursus.org, anno XIII, n. 95, febbraio-aprile 2021)