di MARTINA SARGENTI – Quello inscenato da Platone nel Teeteto (Bur, pp. 534, € 10,00), a cura di Franco Ferrari, è uno dei più ricchi tra i dialoghi della sua produzione, nonché uno dei più difficili da interpretare, in quanto denso di nuclei tematici, ambientato in diversi spazi temporali e coinvolto in controversie relative alla sua datazione. Tra Megara ed Atene, Platone propone, per bocca di un Socrate prossimo alla condanna, uno dei problemi filosofici per antonomasia: che cosa è conoscenza?
Possiamo individuare tra le righe del Teeteto molti spunti: la prima analisi sistematica della natura e dei presupposti della percezione sensibile, l’esposizione dei fondamenti del relativismo attraverso la critica alla dottrina protagorea e la corrispondente confutazione.
Primo fra tutti, tuttavia, è il lungo riferimento alla maieutica socratica: essa sembra sovraintendere non solo al “parto” delle soluzioni che Teeteto fornisce, ma anche all’educazione degli Ateniesi, dal momento che è in grado di scegliere chi è in grado di produrre conoscenza e chi invece è “sterile”.
Le definizioni di conoscenza
Il matematico Teeteto viene duramente e lungamente messo alla prova da un Socrate provocatorio e a tratti addirittura irritante, allo scopo di raggiungere una definizione di conoscenza. Il primo tentativo dell’allievo di Teodoro di Cirene è assimilarla alla sensazione: «Dunque, a me sembra che colui che conosce qualcosa, percepisce ciò che conosce, e che perciò […] conoscenza non sia altro che percezione» (p. 245). Viene, tuttavia, prontamente smantellato da Socrate che qui, non a caso, introduce l’attacco a Protagora – a cui dà la possibilità di difendersi in una ipotetica apologia – nonché la discussione delle dottrine di Eraclito e Parmenide.
Il secondo esperimento del giovane tenta di racchiudere la conoscenza nella spiegazione di opinione vera: «Ma è probabile che l’opinione vera sia conoscenza, e sia questa la mia risposta» (p. 419). Anche in questo caso Socrate smonta la sua tesi stilando un dettagliato e ridondante elenco dei casi in cui è possibile il verificarsi dell’opinione falsa all’interno della conoscenza e ciò implica l’insensatezza dell’asserto proposto. È in tale passaggio che si inserisce l’excursus sull’opinione falsa, il quale contiene le celebri metafore che spiegano l’attività della memoria nel processo cognitivo: il “blocco di cera” e la “voliera”.
L’ultimo sforzo produce la terza affermazione, secondo la quale la conoscenza consiste in opinione vera sostenuta da ragione (logos). Durante la formazione stessa della definizione, sorgono difficoltà: sostenere un’opinione con ragione per produrne conoscenza vera implica ricercarne l’essenza e la causa, per attestarne la verità. Da qui nasce l’obiezione socratica: noi siamo composti da elementi primi ed «è impossibile che uno qualunque degli elementi primi venga espresso per mezzo di un logos, perché non gli appartiene altro che la possibilità di essere nominato» (p. 491). Anche la terza prova non conduce dunque ad alcun successo.
Aporia come invito
Come molti dei dialoghi platonici, la conclusione è aporetica: nessuna delle dichiarazioni degli interlocutori può considerarsi soddisfacente e utile a trovare risposta all’interrogativo iniziale e l’esame si interrompe. Essa, tuttavia, non viene abbandonata. La sospensione dell’indagine dura solo fino al giorno dopo: «Ora però devo presentarmi al Portico del Re per affrontare l’accusa che Meleto ha sottoscritto contro di me. Ma domani mattina, Teodoro, troviamoci ancora qui» (p. 533).
Questo invito, che contiene peraltro il riferimento al processo a Socrate, si può leggere come l’intenzione di Platone di offrire al lettore alcuni strumenti per trovare una risposta in autonomia. Sarebbe un intento coerente con la non sistematicità della filosofia platonica: essa infatti non è una dottrina strutturata in modo tale da essere racchiusa in un apparato di domande e risposte. Essa consiste nell’impegno di una vita trascorsa nella discussione, in un atteggiamento considerato adatto ai “pochi” e Platone deve aver pensato che noi che ci addentreremo in questa lettura saremo parte di quei pochi che ne ricaveranno l’energia per cercare una nuova risposta.
Teeteto ricco ed anomalo
Il Teeteto, come spiega Ferrari, non rappresenta solo una sfida intellettuale per l’amante della filosofia, ma anche per lo studioso di Platone, dal momento che contiene molteplici riferimenti ad argomenti apparentemente di minor rilievo, i quali tuttavia possono dare l’avvio a un’approfondita analisi delle idee platoniche. A tal proposito, è da notare un’anomalia che non è, ovviamente, sfuggita all’esegesi: mancano accenni espliciti alla dottrina delle idee, colonna portante del pensiero del grande filosofo.
Non sempre la lettura dell’opera è agevole: le dettagliate e pungenti risposte di Socrate, infatti, conducono talvolta il lettore a perdere il filo del discorso – il quale in realtà si compone di tanti fili, ognuno dei quali porta ad un diverso gomitolo che contiene una problematica filosofica differente. Nonostante questo, che fa parte di ciò che ci si aspetta da un dialogo dove il protagonista è Socrate, il linguaggio, per quanto specialistico, permette di orientarsi quantomeno nei punti salienti della discussione.
Se siamo specialisti del settore o appassionati, ovviamente, non faremo troppo caso alla difficoltà in cui Platone simpaticamente ci abbandona, perché attraverso il giovane Teeteto e l’anziano Socrate ci offre così tanti pretesti riguardo ai quali assentire, obiettare, commentare o indagare che non resterà tempo che per concentrarci in questa intensa e cospicua lettura dalle argomentazioni concatenate e incalzanti.
Qualunque sia la risposta all’eterna domanda sulla conoscenza, che dall’inizio del dialogo corre senza trovare soluzione, non è in questa pagina che la troverete: siate voi in grado di azzardare qualche ipotesi, giacché avete la fortuna (o sfortuna!) di non avere di fronte a voi un Socrate redivivo pronto a punzecchiare e confutare ogni vostro apparente colpo di genio.
Martina Sargenti
(www.excursus.org, anno VII, n. 69, aprile 2015)