Il senso dell’abitare contemporaneo – Sebastiano D’Urso

di DANIELA VENA – «Tuttavia prima del mondo abbiamo abitato il ventre di nostra madre. L’abitare è quindi oltre l’esserci nel mondo anche l’essere nel corpo materno, non a caso definito la nostra prima dimora. Si abita quindi innanzitutto il corpo, prima quello materno ed infine quello proprio. Successivamente, con la propria persona si abita il mondo. Dimorare nel proprio corpo fa coincidere l’intera vita con l’abitare». Sebastiano D’Urso

«La vita di ogni uomo sulla terra è un abitare. I modi con cui si svolge questo abitare dipendono anche dal modo con cui si interpreta la vita stessa. Le modalità dell’abitare quindi sono molteplici e variopinte, cangianti e variabili, singolari e plurali, isolate e relazionate, tristi e gioiose, pacate e irrequiete, ansiose e serafiche, sacrificate e comode, agiate e limitate, oneste e corrotte, difficili e semplici e così via come la vita».

Questi frammenti sono tratti dall’opera di Sebastiano D’Urso, Il senso dell’abitare contemporaneo. 1. La casa unifamiliare (Maggioli Editore, pp. 210, € 14,00), un testo ricco ed interessante, frutto della passione per l’architettura e la filosofia, tese ad indagare sul legame indissolubile che unisce la casa e l’uomo. Il testo esplica in modo esaustivo il senso dell’abitare partendo dalle riflessioni di Martin Heidegger e Gaston Bachelard, che trovarono nell’accezione dell’abitare la vera essenza dell’uomo.

Sebastiano D’Urso, docente dei corsi di Architettura e Composizione Architettonica presso l’Università degli Studi di Catania, è parte attiva del gruppo di ricerca del Laboratorio di Progettazione del Paesaggio Urbano e della Mobilità. Nel 2005 ha pubblicato Barcellona. Lo spazio pubblico tra infrastrutture e paesaggio, anch’esso pubblicato da Maggioli Editore.

La necessità di avere un rifugio è una delle maggiori peculiarità dell’uomo. L’origine della casa e la divisione degli spazi in cui si vive appartengono alla storia dell’umanità. Il tema dell’abitare rimanda alla nozione di casa e, nella fattispecie, di quella unifamiliare che incarna l’idea di focolare domestico capace di custodire l’uomo dall’esterno ma che, allo stesso tempo, gli permette di ostentare le sue potenzialità economiche condizionando il giudizio altrui. La casa pertanto, con la sua molteplicità di significati, non è più solamente la “tana” che ci accomuna con gli altri esseri viventi, ma è anche un mezzo per mostrare il proprio modo di vivere; essa è il contenitore del passato e delle proiezioni future dell’uomo.

Partendo da questa riflessione l’autore cita gli studi del famoso filosofo francese Bachelard, che prediligeva l’assetto verticale della casa, la cui costruzione è speculare alla struttura dell’anima, mediana tra passato e futuro. Secondo il filosofo francese infatti, al pari di una casa unifamiliare, la cantina rappresenta la zona più profonda e misteriosa dell’anima, mentre la soffitta è il simbolo delle sue proiezioni. Le abitazioni contemporanee invece si sviluppano maggiormente in orizzontale, perdendo così quella metaforizzazione dell’elevamento e dello scandagliamento cui si riferiva Bachelard.

Comprendere la rilevanza che la casa occupa nell’esistenza quotidiana vuol dire decodificare uno dei linguaggi più profondi della psiche. Il fascino del nucleo abitativo unifamiliare ha riconquistato gli architetti, che nel suo essere centrale tra cielo e terra, leggono il senso antropologico dell’abitare. Vivere nella casa unifamiliare significa ritrovare l’individualità, il contatto con la natura, il riparo dalle intemperie meteorologiche e dalla crudeltà del mondo; in poche parole vuol dire ritrovare la dimensione a grandezza d’uomo, sentendosi protetti e a proprio agio.

La dimora contemporanea rappresenta quell’ubicazione dove si trascorre la maggior parte del tempo libero, in cui si solidificano i rapporti, dove si lavora e si progetta il futuro. Gli spazi e i luoghi che si incrociano e/o si attraversano tutti i giorni incidono sulle emozioni e gli stati d’animo; ad esempio: l’eccesso o la mancanza di luce e colori, la disposizione degli ambienti e le volumetrie possono generare disagio, benessere, claustrofobia, creatività, eccetera. Le case moderne sono macchine ad alta connettività, dominate dai dogmi della dinamicità e velocità, ai quali tutto deve adeguarsi.

Da un punto di vista integrato, che fa luce sugli scenari imposti all’architettura dai nuovi media, è possibile immaginare un’innovativa frontiera dell’abitare, in cui le case non sono più quegli usuali contenitori inerti e resistenti, ma spazi sensibili in grado di avvertire la presenza umana e di utilizzare efficacemente le energie rinnovabili a basso impatto, garantendo l’autosufficienza e l’interdipendenza dei nuovi sistemi. La crisi ambientale che la cronaca riporta spesso in primo piano è, in larghissima misura, il risultato di una delle più acute contraddizioni del nostro tempo: l’equilibrio precario tra il progresso e il rispetto dell’ambiente.

«La casa unifamiliare rispetto all’ambiente è un microcosmo, una porzione del mondo che tende a rappresentare, nel bene e nel male, l’intera terra. L’abitare si estrinseca nella casa unifamiliare con le stesse modalità con cui si manifesta negli altri luoghi. Imparare a progettare, a costruire e ad abitare la casa vuol dire anche imparare a rispettare l’ambiente con cui quotidianamente ci relazioniamo e dentro cui edifichiamo l’architettura». Sebastiano D’Urso

Grazie ad una sintesi tra uomo e natura si può vivere secondo una visione ecologica. Uno dei dictat dei media è infatti quello di abitare secondo i paradigmi dell’ecocompatibilità; per cui occorre superare la cultura protezionista che innalza barriere tra oasi naturali da preservare e aree artificiali, in cui la trasformazione è insieme possibile e necessaria. Secondo tale parametro le scelte progettuali della casa devono essere rivalutate, intervenendo sui sistemi di conversione e di distribuzione dell’energia. «La soluzione però non è demandata solo alla tecnologia, ma innanzitutto è l’architettura che, a partire dal ridimensionamento degli spazi e dalla loro riorganizzazione in termini di potenzialità, flessibilità e versatilità, può contribuire significativamente a rendere più sostenibile l’abitare dell’uomo sulla terra».

Attingendo ai molteplici approcci analitici di diversi studiosi sul significato dell’abitare, l’autore conclude con la seconda parte del testo regalando al lettore un ulteriore arricchimento personale. L’opera è caratterizzata da un interessante orientamento interdisciplinare, in cui architettura, filosofia, antropologia, ecologia ed economia sono macroquestioni intorno a cui si articolano le dinamiche che mirano a far capire il vero significato del vivere e dell’abitare, tanto nella propria casa quanto nel mondo. Il testo di Sebasitano D’Urso risulta essere un affresco ricco di nodi ma anche di idee e progettualità che tiene conto dei rapporti con i vari aspetti del vivere, segnati da trasformazioni talora convulse, talora profondamente meditate.

Daniela Vena

(www.excursus.org, anno VI, n. 63, ottobre 2014) Sebastiano D’Urso