di GIUSEPPE LICANDRO – Il 20 novembre 1945 si aprì a Norimberga il processo contro ventiquattro gerarchi nazisti, colpevoli di gravi crimini contro l’umanità. Il processo si chiuse con la condanna alla pena capitale di dodici imputati: Martin Bormann (in contumacia), Hans Frank, Wilhelm Frick, Hermann Göring (suicidatosi in carcere prima dell’esecuzione), Ernst Kaltenbrunner, Wilhelm Keitel, Alfred Jodl, Alfred Rosenberg, Fritz Sauckel, Arthur Seyss-Inquart, Julius Streicher, Joachim von Ribbentrop. Robert Ley si sottrasse al giudizio, impiccandosi nella sua cella prima dell’inizio del processo, mentre Gustav Krupp (le cui acciaierie avevano ampiamente sfruttato il lavoro dei detenuti dei lager) non fu processato per motivi di salute.
Tre nazisti furono condannati all’ergastolo (Walter Funk, Rudolf Hess, Erich Raeder), tre furono assolti (Hans Fritzsche, Hjalmar Schacht, Franz von Papen) e quattro subirono condanne a pene più lievi (Karl Dönitz, Albert Speer, Konstantin von Neurath, Baldur von Schirach). Negli anni successivi furono intentati altri dodici processi contro imputati minori, tra i quali l’industriale Alfried Krupp, i dirigenti dell’IG Farben (la ditta che aveva prodotto lo Zyklon B, l’agente tossico usato nelle camere a gas), burocrati, giuristi, medici e militari che avevano a vario titolo reso possibile l’Olocausto.
Sul banco degli imputati di Norimberga, però, non sedettero tanti criminali del Terzo Reich: alcuni (Martin Bormann, Joseph Goebbels, Reinhard Heydrich, Heinrich Himmler, Adolf Hitler, Heinrich Müller) si suicidarono o vennero uccisi durante la Seconda Guerra Mondiale; altri (Klaus Barbie, Adolf Eichmann, Joseph Mengele, Otto Skorzeny, Erich Priebke, Walter Rauff, Eduard Roschmann, eccetera) riuscirono a eclissarsi, insieme a centinaia di personaggi minori, grazie agli aiuti ricevuti dalla Croce Rossa Internazionale, dal Vaticano, dai servizi segreti statunitensi (Cic, Oss, Cia) e britannici (MI6).
Delle oscure vicende nelle quali furono implicati i nazisti, i fascisti e i collaborazionisti dei tedeschi scampati alle epurazioni postbelliche, tratta l’apprezzabile volume I segreti del Quarto Reich. La fuga dei criminali nazisti e la rete internazionale che li ha protetti (Newton Compton, pp. 478, € 12,90) del giornalista Guido Caldiron, il quale – sulla base di precisi riferimenti storico-bibliografici – focalizza l’attenzione dei lettori sulle «colpe dell’Occidente», in particolar modo di chi, durante la Guerra Fredda, provvide a riciclare molti ex ufficiali nazisti (in verità, anche i russi ne accolsero alcuni, ma in misura minore rispetto agli Usa).
La rimozione del nazismo nel Dopoguerra
La connivenza tra i membri del Terzo Reich e il governo statunitense provocò la sdegnata reazione di Simon Wiesenthal, l’attivista sionista che, nel 1947, creò in Austria un Centro di Documentazione sugli ex nazisti e trascorse la propria vita a ricercarli. Fu lui a scoprire le tracce di Eichmann, il principale responsabile dello sterminio degli ebrei tra il 1942 e il 1945, che venne arrestato dal Mossad in Argentina nel 1960 e giustiziato nel 1962.
Wiesenthal, nel saggio Giustizia, non vendetta (Mondadori), deprecò che molti ex gerarchi nazisti fossero stati «riutilizzati senza difficoltà come agenti della Cia, semplicemente perché erano in grado di sfoggiare l’anticomunismo cui erano stati addestrati sotto Hitler e asserivano di possedere precise conoscenze dell’Est europeo». Caldiron rileva, infatti, come «appena il nemico principale dell’Occidente tornò a essere il comunismo sovietico, […] nazisti e fascisti furono rapidamente dimenticati».
Le indagini sui crimini nazifascisti furono accantonate e chi era stato condannato usufruì spesso di grazie e condoni, come accadde in Italia, dove furono concesse due amnistie (nel 1946 e 1953) e si occultarono – nel famigerato “armadio della vergogna” della Procura Generale Militare di Roma – «poco meno di 700 fascicoli sui crimini di guerra compiuti dalle forze di occupazione tedesche […] e in parte anche da unità della Rsi».
In Germania Ovest, dopo il processo di Norimberga, ci fu la rimozione collettiva delle atrocità commesse dai nazisti, che ebbe tra i suoi assertori il cancelliere cristianodemocratico Konrad Adenauer: l’esecutivo di centrodestra da lui presieduto firmò nel 1949 un’amnistia «che concesse la libertà a poco meno di 800 mila “criminali minori”, anche se tra loro vi erano anche membri delle SS e della Gestapo».
Nel 1966, addirittura, il governo di Bonn finì nelle mani di Kurt Kiesinger, un ex gerarca nazista, che nel 1969 fu costretto alle dimissioni da una campagna di stampa orchestrata dai coniugi Beate Künzel e Serge Klarsfeld, due attivisti antinazisti. Furono i governi presieduti dal cancelliere socialdemocratico Willy Brandt, tra il 1969 e il 1974, a porre termine all’oblio della barbarie nazista, ammettendo apertamente le responsabilità dei tedeschi nell’Olocausto.
L’Organizzazione Odessa e le ratlines
Negli anni Quaranta e Cinquanta, numerosi ex ufficiali nazisti riuscirono a espatriare dalla Germania, dall’Austria e dai Paesi dell’Est occupati dalle truppe sovietiche. Molti di loro sfruttarono le reti clandestine messe in piedi dagli epigoni del Terzo Reich, tra cui la famigerata Odessa (acronimo che indicava l’Organizzazione degli ex membri delle Ss).
Secondo Wiesenthal, a capo di questa sorta di Spectre teutonica ci sarebbe stato Rauff, un tenente colonnello delle Ss (ideatore del gaswagen, il camion usato per gassare i prigionieri), che aveva collaborato all’operazione “Sunrise” con cui «la resa delle forze tedesche operanti in Italia fu sottoscritta segretamente il 29 aprile 1945». Secondo altre fonti, a capo dell’Odessa ci sarebbe stato Skorzeny (il militare austriaco noto per aver partecipato alla liberazione di Benito Mussolini sul Gran Sasso nel 1943), coadiuvato da Hans-Ulrich Rudel, famoso aviatore della Luftwaffe.
In verità, non tutti gli storici sono inclini «ad accreditare l’idea che un gruppo come Odessa abbia mai realmente operato», ma a confermarne l’esistenza provvide nel 1972 il romanziere Frederick Forsyth, autore del best-seller Dossier Odessa (Mondadori), da cui nel 1974 fu tratto l’omonimo e fortunato film di Ronald Neame. Nella Prefazione, Forsyth si dichiarò convinto che l’organizzazione delle Ss fosse ancora attiva: «l’Odessa esiste, e i Kameraden dall’insegna della Testa di Morto sono ancora uniti al suo interno».
La fonte principale delle sue informazioni era Wiesenthal, che in quegli anni dava la caccia a uno dei protagonisti del romanzo, Roschmann, il “macellaio di Riga” che era riuscito a espatriare in Sudamerica grazie a una delle tante ratlines, le “vie del ratto” create per consentire l’esfiltrazione di agenti segreti tedeschi e gerarchi nazisti.
A gestire il sistema delle ratlines furono la Croce Rossa Internazionale (che fornì agli ex nazisti documenti falsi) e la Pontificia Commissione di Assistenza ai Profughi, un ente umanitario che servì anche da protezione per diversi nazisti in fuga dall’Europa. Tra le figure di spicco che gestirono la Pca, va segnalato l’allora segretario di Stato del Vaticano, Giovanni Battista Montini, che nel 1963 sarebbe diventato papa col nome di Paolo VI.
Fu creata la «rotta dei conventi», una rete di monasteri e istituti religiosi che consentì a molti fuggiaschi di raggiungere Roma e Genova, da dove era possibile imbarcarsi per l’America, la Spagna o vari Paesi Arabi. I centri organizzativi della rete furono il Collegio di Santa Maria dell’Anima e l’Istituto San Girolamo degli Illirici, entrambi situati nel cuore di Roma. Nel primo istituto operò il vescovo austriaco Alois Hudal, nel secondo il sacerdote croato Krunoslav Draganovič: i due prelati, simpatizzanti del regime hitleriano, furono coadiuvati non solo da ecclesiastici, ma anche da fascisti italiani e ustascia croati.
Secondo Caldiron, sia Pio XII che il futuro Paolo VI «non solo sarebbero stati a conoscenza, ma avrebbero anche sostenuto il lavoro di Alois Hudal», come testimonia una lettera inviata al vescovo austriaco da Montini nel 1949, nella quale si comunicava che «il Papa benediceva quello che stava facendo». Tra gli Stati che si dimostrarono più ospitali verso i nazisti ci fu l’Argentina, dove il presidente Juan Domingo Perón nel 1946 «aveva creato un organismo ad hoc, la Delegación Argentina de Immigración en Europa (DAIE), proprio per coordinare i viaggi di nazisti e fascisti verso il suo Paese».
La Cia e il tesoro nazista
Il presidente americano Harry Truman, nel marzo 1947, espose la “dottrina del contenimento” nei confronti dell’Urss, che prevedeva l’arruolamento all’interno della Cia e di altri servizi segreti di «un certo numero di criminali di guerra nazisti e fascisti provenienti da ogni parte d’Europa». Le attività antisovietiche comprendevano – come sostiene la storica inglese Frances Saunders – «propaganda, guerra economica, azioni dirette preventive incluse il sabotaggio, l’antisabotaggio, le distruzioni e i piani di evacuazione, la sovversione contro Stati ostili con assistenza a movimenti clandestini di resistenza, guerriglia e liberazione».
Allen Dulles, direttore della Cia dal 1953 al 1961, fu tra i promotori dell’Organizzazione “Gehlen”, una struttura clandestina che prese il nome da un ex generale nazista, Reinhard Gehlen, al quale fu affidato il compito di rimettere in piedi l’Abwehr (“Difesa”), la rete di agenti segreti e informatori del Terzo Reich da lui diretta fino al 1945. Alla fine della guerra, Gehlen fu trasferito clandestinamente nella base militare americana di Fort Hunt, dove «avrebbe partecipato a una serie di riunioni con i vertici militari e dell’intelligence».
Tornato in Germania Ovest nel 1946, Gehlen costituì l’omonima struttura spionistica, reclutando circa cinquecento uomini tra ex membri dell’Abwehr, della Gestapo, delle Ss ed ex collaborazionisti bielorussi, estoni, lettoni, lituani, russi e ucraini. L’Organizzazione “Gehlen” operò per circa un decennio, finché nel 1956 non si trasformò nella Bnd, il servizio segreto della Repubblica Federale Tedesca, che fu diretto fino alla fine degli anni Sessanta dall’ex generale nazista.
Tra le strutture di difesa della Nato che assoldarono dei nazisti ci furono anche quelle denominate Stay-Behind (“stare dietro”). Di esse faceva parte anche Gladio, l’organizzazione paramilitare sorta in Italia nel 1956 che ammassò armi ed esplosivi in nascondigli segreti, pronti a essere usati in azioni di sabotaggio in caso d’invasione sovietica, la cui esistenza fu svelata solo nel 1990.
Un’altra importante informazione fornita da Caldiron riguarda la cosiddetta operazione “Paperclip”, cioè la fuga di circa 1600 scienziati, ingegneri, medici e tecnici del Terzo Reich, i quali emigrarono negli Usa tra il 1945 e il 1952. Secondo la giornalista americana Annie Jacobsen, essi proseguirono «il loro lavoro sugli armamenti al soldo del governo statunitense, sviluppando razzi, mettendo a punto armi biologiche e chimiche e facendo progredire la medicina aeronautica e spaziale».
Tra gli scienziati coinvolti nell’operazione “Paperclip” ci furono anche alcuni criminali nazisti: Otto Ambros, un chimico che aveva collaborato alla produzione di gas nervini micidiali come il tabun e il sarin; Walter Schreiber, un chirurgo che aveva torturato molti internati del campo di Dachau; Wernher von Braun, un ingegnere e ufficiale delle Ss che aveva progettato i micidiali razzi V2, mietendo migliaia di vittime civili in Gran Bretagna, e che avrebbe poi collaborato alle missioni aerospaziali statunitensi.
Le società segrete neonaziste attinsero all’ingente tesoro del Terzo Reich depositato verso la fine del Secondo Conflitto Mondiale nelle banche svizzere, che sarebbe stato poi spostato, a detta di Wiesenthal, «in Sudamerica, in Spagna o in Portogallo, o addirittura ritrasferito in Liechtenstein o in Svizzera». Il tesoro, accumulato grazie alle razzie compiute dalle truppe tedesche, ammontava a circa sei miliardi di dollari odierni, includendo banconote, gioielli, obbligazioni, opere d’arte e oro.
Il miraggio del Quarto Reich
Negli ultimi mesi della guerra, circa 80 mila tedeschi furono concentrati nella regione austriaca della Stiria, al confine con la Baviera, dove si voleva creare un “ridotto alpino” per organizzare l’ultima resistenza. Qui fu dirottata buona parte del “tesoro nazista” che probabilmente venne poi affondata nel lago di Toplitz, nei pressi di Bad Aussee.
Un gruppo di falsari, guidato da Friedrich Schwend, ebbe l’incarico di stampare nel campo di prigionia di Sachsenhausen «enormi quantità di banconote inglese false allo scopo di sabotare l’economia di quel Paese», che alla fine della guerra ammontavano a circa 134 milioni di sterline, molte delle quali furono poi seppellite nel lago di Toplitz. Schwend, fuggito in Sud America, diventò socio del “boia di Lione” Barbie e commerciò in armi, potendo contare sulla protezione di due dittatori di estrema destra, il paraguayano Alfredo Stroessner e il boliviano Hugo Banzer.
I fondi messi da parte dai nazisti ebbero lo scopo di preparare «l’edificazione di un Quarto Reich», alla cui realizzazione fornirono il loro contributo alcune industrie tedesche (Aeg, Ig Farben, Krupp, Siemens, Thyssen), i dirigenti delle quali si erano riuniti a Strasburgo nell’agosto del 1944 per pianificare il trasferimento all’estero delle loro ricchezze e l’aiuto ai gerarchi tedeschi in difficoltà.
Nei primi mesi del 1945, i nazisti superstiti crearono un piccolo esercito nelle regioni della Germania occupate dai britannici e dagli statunitensi: il gruppo paramilitare, denominato Werwolf (“Lupo mannaro”), fu formato da migliaia di giovani reclute, che vennero impegnate in azioni di sabotaggio e terrorismo, durate fino al 1947.
Negli anni Cinquanta e Sessanta vari gruppi politici neonazisti ricomparvero in Germania Ovest. Il primo fu il Partito Socialista del Reich, un piccolo partito posto fuorilegge nel 1952, la cui eredità fu raccolta nel 1964 dal Partito Nazionaldemocratico Tedesco. Nello stesso periodo si formarono l’Hiag, una società di mutuo soccorso delle Ss bandita nel 1992, e la Stille Hilfe (“Aiuto Silenzioso”), un’associazione che aiutò «centinaia di nazisti, arrestati, processati e condannati sia nella Repubblica federale tedesca che nel resto del mondo», godendo della protezione di Franz Joseph Strauss, leader dell’Unione Cristiano-Sociale e presidente della Baviera dal 1978 al 1988.
Il nazismo nel Secondo Dopoguerra
Il saggio di Caldiron dedica ampio spazio al racconto delle vicende postbelliche di noti criminali come Barbie, Eichmann, Mengele, Priebke e delle protezioni di cui godettero tanti altri nazisti non solo in Argentina, ma anche in Australia, Bolivia, Brasile, Canada, Cile, Egitto, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Paraguay, Portogallo, Siria, Spagna, Usa.
Il sogno del Quarto Reich fu perseguito con pervicacia fin dal biennio 1950-51, durante il quale si svolsero a Roma e a Malmö due incontri internazionali cui parteciparono i primi gruppi neonazisti e neofascisti europei. Tra di essi spiccava il Movimento Sociale Italiano, che però non volle legarsi in modo organico all’estrema destra antiamericana e antisemita, assumendo posizioni più vicine al «blocco occidentale guidato dagli Sati Uniti».
Nel 1960 Stefano Delle Chiaie, seguace di Julius Evola, fondò Avanguardia Nazionale, attiva fino al 1976, cui si collegò in seguito Ordine Nuovo, il gruppo terroristico che fu tra i protagonisti della “strategia della tensione” in Italia dal 1969 in poi. Nel 1961 il neonazista belga Jean Thiriart creò la Giovane Europa, che affiancò l’Organizzazione Armata Segreta – gruppo terroristico francese di estrema destra – nella lotta contro il Fronte Nazionale di Liberazione dell’Algeria.
Nel 1962 iniziò a operare a Lisbona la finta agenzia di stampa Aginter Press, creata da un membro dell’Oas, Yves Guérin-Sérac, che in realtà coordinò su scala europea il terrorismo di estrema destra. Nel 1966 fu fondata in Corea del Sud la Wacl, una lega anticomunista mondiale che costituì una specie di “Internazionale nera”, mentre all’inizio degli ani Settanta in Spagna nacque il Gruppo Paladin, «una sorta di agenzia di mercenari e di esperti di spionaggio». Nel 1968 Junio Valerio Borghese, ex capo della X Mas, costituì il Fronte Nazionale e due anni dopo tentò un colpo di stato in Italia, che fu sventato all’ultimo momento e coinvolse «ex repubblichini, neofascisti e settori delle forze armate».
Il Sessantotto e i movimenti giovanili degli anni Settanta limitarono fortemente la diffusione della destra radicale, ma già negli anni Ottanta i neonazisti tornarono in auge, soprattutto a ridosso del crollo del Muro di Berlino. Nel 1989, infatti, riscossero un discreto successo alle elezioni europee I Repubblicani, un partito tedesco di estrema destra che conquistò il 7,1% dei voti, mentre tra il 1991 e il 1993 un’ondata di xenofobia interessò vari Länder della Germania, provocando più di venti vittime tra gli immigrati.
Verso la fine degli anni Novanta, in Austria accrebbe i propri consensi l’Fpö (Partito della Libertà Austriaco), una formazione politica fondata nel 1956 dall’ex ministro nazista Anton Reinthaller. Sotto la guida di Jörg Haider, l’Fpö divenne il primo partito nel 1997, entrando a far parte di un governo di coalizione con l’Övp (Partito Popolare Austriaco), durato fino al 2006. Negli stessi anni si affermò in Francia il Fronte Nazionale, fondato nel 1972 da Jean-Marie Le Pen, il leader nazionalista e xenofobo che nel 2002 contese senza successo la presidenza della Repubblica francese a Jacques Chirac: l’eredità politica di Le Pen passò in seguito alla figlia Marine, che oggi sta ripercorrendo le orme del padre.
La rinascita dell’estrema destra fu favorita anche dalla diffusione delle tesi degli storici negazionisti della Shoah e delle ubbie sui presunti complotti massonici. La leggenda della congiura giudaico-massonica volta al dominio del mondo – le cui origini vanno rintracciate negli scritti di alcuni scrittori francesi del Settecento e dell’Ottocento – fu rimessa in circolazione negli anni Quaranta da Reinhard Kopps, un ex capitano dell’Abwehr, il quale fondò a Buenos Aires la rivista Der Weg (“La Via”), che – secondo lo storico Uki Goñi – «ottenne un successo sempre maggiore, con una tiratura massima di circa 20 mila copie».
Le menzogne di Kopps furono riprese, a distanza di anni, da alcuni storici negazionisti dell’Olocausto come l’inglese David Irving, il francese Robert Faurisson e il tedesco Thies Christophersen: quest’ultimo fu smascherato nel 1991 dal giornalista Michael Schimdt, il quale, durante una conversazione registrata di nascosto, gli fece ammettere «le atrocità commesse dai tedeschi», inserendo poi il video in un documentario che venne trasmesso da molte televisioni europee.
I segreti del Quarto Reich si conclude con una panoramica sul neofascismo italiano e giapponese del Secondo Dopoguerra e uno sguardo sui rigurgiti neonazisti che hanno interessato di recente l’Est europeo, in particolare la Lettonia, l’Ucraina e l’Ungheria, dove si sono affermati alcuni partiti di estrema destra (Alleanza Nazionale in Lettonia, Settore Destro in Ucraina, Movimento per una Ungheria Migliore in Ungheria) e sono stati riabilitati vari ex collaborazionisti dei tedeschi (Stepan Bandera, Herbert Kukurs, László Csatáry).
Il saggio di Caldiron, pur rivolgendosi al vasto pubblico, si presenta rigoroso sul piano storiografico e ben corredato da una ricca documentazione bibliografica e fotografica. Ne consigliamo la lettura non solo a chi voglia conoscere meglio la storia del nazismo, ma soprattutto a chi sottovaluta il pericolo rappresentato per la democrazia dall’estrema destra populista o è propenso a credere alle fandonie propinate dagli storici revisionisti più accaniti, che pongono sullo stesso piano vincitori e vinti della Seconda Guerra Mondiale, vittime e carnefici dell’Olocausto.
Giuseppe Licandro
(www.excursus.org, anno VIII, n. 74, luglio-agosto 2016)