di JENNIFER CARRETTA – «Vede – disse Testuggine – suo figlio è un ragazzino intelligente, ma è distratto. Sogna, si incanta, in storia confonde le date, fa i compiti del giorno dopo, si mette a parlare del futuro come se lo conoscesse e dei babilonesi come se li avesse visti. Mescola i romanzi, la geografia, gli animali. E soprattutto quando parla salta da una cosa all’altra, da un argomento all’altro, divaga, e non sa mai che ora è, che giorno è, gli compri almeno un orologio» (p. 22).Saltatempo
Saltatempo (Feltrinelli, pp. 268, € 7,00), opera di Stefano Benni che vuole essere una specie di autobiografia romanzata, è un piacevole romanzo di formazione che narra le vicende di un ragazzino che vive la sua adolescenza negli anni Sessanta del Novecento e non solo. Lupetto, infatti, ha ricevuto in dono da un Dio pagano un orologio che «misura un tempo che non va dritto, ma avanti e indietro, fa curve e tornanti, si arrotola, inventa, rimette in scena» (p. 15), un orobilogio che gli permette di saltare da un tempo all’altro, sia esso reale e lontano o immaginario e parallelo, e di vedere come cambierà la sua vita e quella di chi conosce.
Soprannominato Saltatempo proprio per questa particolarità, vive con il padre in una casa nel bosco, la madre è morta quando lui era ancora piccolo, frequenta le scuole elementari, ha degli amici fidati, Gancio e Osso, e un piccolo grande amore, Selene. La sua ingenuità e allegria iniziano a spezzarsi quando i ricchi della zona cominciano a distruggere i luoghi in cui è cresciuto in nome della Sacra Pilla, dea del denaro.
La sua piccola personale storia s’intreccia alla grande storia dell’Italia degli anni Sessanta, investita dal boom economico e dalle sue inevitabili conseguenze, spesso previste dal ragazzo attraverso premonizioni frutto dell’orobilogio.
Tutti gli avvenimenti epocali di quegli anni – la corruzione e l’avidità, la progressiva distruzione delle identità paesane e dei luoghi, la vittoria dei ricchi e la rabbia dei poveri, le montagne ferite dalle autostrade e i fiumi avvelenati dalle industrie, l’avvento della televisione «balcone dei beniti futuri» (p. 76), i primi movimenti politici che portano al Sessantotto, la droga che arricchisce pochi e distrugge molti, la liberazione sessuale, l’avvento del rock – si riversano sulla piccola realtà del protagonista che intanto cresce e cerca di maturare il suo punto di vista, di comprendere quello che prima non gli era chiaro, di capire il modo in cui funziona il mondo di quegli anni e quale sarà il futuro che gli si prospetta.
Durante tutta la narrazione, parallelamente alle avventure di Saltatempo, nella valle gli abitanti assistono ad un’epica, anche se piccola, teomachia che vede schierate le divinità buone, come il Dio allegro e lo Gnomo Mangereccio, a sostegno dei giusti e dei deboli, che proteggono il bosco e la montagna, e quelle malvagie, come l’Ombra e il diavoletto col violino, che aiutano i cattivi e portano disgrazie più o meno gravi. È una battaglia tra Bene e Male che non vede vincitore, ma solo un susseguirsi di avvenimenti lieti e tragici che coinvolgono il giovane Saltatempo, la sua famiglia, i suoi amici e gli abitanti del paese.
L’abilità narrativa di Benni consiste nel saper raccontare con leggerezza e ironia un capitolo complicato dell’Italia, permettendo al lettore di riflettere su quello che è accaduto, senza però negargli momenti di sinceri sorrisi, se non addirittura gustose risate. Lo straniamento dato dal punto di vista di un bambino sveglio, ma che non riesce a comprendere a pieno ciò che sta accadendo al suo paese, lascia un po’ alla volta posto alle riflessioni di un ragazzo intelligente che partecipa in modo sempre più attivo alle vicende del suo tempo. Il lettore – qualunque sia la sua età – cresce con lui, ne apprezza la progressiva maturazione e si unisce a quel pantheon paesano che tifa per lui e lo sostiene.
Ogni personaggio è unico e viene descritto dall’autore con ironia nei pregi e nei difetti – sia esso un compagno di scuola, un anziano del paese o uno gnomo frutto della fantasia e delle leggende popolari – sempre attraverso l’occhio del protagonista, dotato di una fervida immaginazione.
Le vicende si svolgono in un luogo che si allarga a mano a mano che Saltatempo cresce. Dal piccolo paesino di montagna lo spazio si espande toccando le cittadine a fondo valle, la città, la Cittàgrande – probabilmente Bologna, luogo natale di Benni –, fino a Parigi. Lo spazio non viene quasi mai nominato con precisione, ma si deduce da alcuni indizi sparsi che fanno pensare agli Appennini e alle città dell’Emilia Romagna.
Allo stesso modo il tempo non è indicato in modo preciso, ma lo si ricostruisce da vari dettagli presenti nel romanzo. Sono gli anni del Dopoguerra, gli abitanti adulti e anziani del paese ricordano bene il Ventennio e la resistenza partigiana perché hanno vissuto in prima persona quel periodo, mentre i bambini, che non hanno assistito a questi fatti, sono invece cresciuti con le storie dei padri che narravano loro le avventure dei partigiani e gli anni della guerra.
La narrazione abbraccia il periodo che va dal 1960 al 1970 e le date precise che spiccano nel racconto sono quelle della grande storia internazionale e nazionale, come il 9 ottobre 1967, morte di Che Guevara, e il 12 dicembre del 1969, strage di Piazza Fontana, che scandiscono con la loro potenza il tempo che passa.
La lettura è resa piacevole dal linguaggio semplice, ma non per questo impreciso quando si tratta di nominare pesci, alberi e oggetti di un tempo lontano dal nostro. Anzi, proprio dalla minuzia del linguaggio botanico e zoologico è possibile per i più giovani arricchire il proprio vocabolario e per i più anziani ricordare parole che non sentono da tempo.
Come se non bastasse, la fantasia e l’originalità di Benni lo portano, in questo romanzo come negli altri, a inventare parole nel momento in cui il lessico della lingua non basta a rendere il concetto con precisione o il contesto necessita di una dose di ironia che solo una determinata parola riesce a creare. La sua fantasia si scatena, ad esempio, nell’enumerazione delle svariate carognate conosciute dai bambini o nel momento in cui una strana creatura lascia le sue tracce nel paese scatenando il panico. Tutti questi termini, frutto della fantasia di Benni, vengono sempre prontamente spiegati attraverso aneddoti dallo stesso Saltatempo, che accompagna il lettore all’interno del suo strampalato mondo.
È un libro che si presta a diverse letture, adatto ai ragazzi più giovani che sono cresciuti in un mondo già completamente cambiato da quelle trasformazioni che nel tempo del romanzo sono ancora solo all’inizio: è quindi utile per raccontare un periodo della storia italiana spesso tralasciato dal programma scolastico, ma di fondamentale importanza per comprendere i cambiamenti che hanno portato al nostro tempo e il ruolo che i giovani hanno avuto in esso.
Contemporaneamente può far evocare nostalgici ricordi adolescenziali nei lettori adulti, nati troppo tardi per partecipare al Sessantotto, ma cresciuti giocando nei boschi e nelle campagne e immaginando creature magiche, o addirittura negli anziani, che gli anni Sessanta li hanno vissuti sulla loro pelle e hanno fatto parte di quella generazione che voleva cambiare il mondo.
Benni riesce ad essere uno scrittore che accarezza diverse generazioni, diverte in modo mai banale, dà spunti per ricordare o riflettere, fa rimpiangere un mondo ormai scomparso, sommerso da tutte quelle trasformazioni che il giovane Saltatempo vede succedersi con rabbia e rassegnazione.
Jennifer Carretta
(www.excursus.org, anno IX, n. 82, aprile 2017)