di MARIA GIUSY GERACE – Dal fantastico alla storia. Dopo Eden e Ad Lucem (Edizioni Arpanet), che avevano ridisegnato il volto e dato spessore psicologico alla controversa figura di Lucifero, l’autore Alessandro Cortese si sposta lungo la linea della cronaca storica e ci consegna Polimnia. Di 300 Spartani, una Grecia e dei Persiani di Serse (Edizioni Saecula, pp. 398, € 20,00).
Cominciamo col dire ciò che Polimnia non è: non è il romanzo delle Termopili e di ciò che si compì alla Porte di Fuoco, perlomeno, non si riduce solo a quello; non è un eterno scontro sui campi di battaglia dove si sente solo il clangore delle armi che guerreggiano. Eppure, tutti questi elementi sono presenti senza innalzarsi a unica prospettiva. Dietro la volontà di Cortese sembra esserci un altro disegno: tessitore di trame complesse, frammenta e ricostruisce per restituire alla fine uno sguardo d’insieme. Scava nelle vite e nelle coscienze dei singoli personaggi che calcano la scena e rivanga il terreno della Storia. Tutto ciò, lo fa in chiave moderna strizzando l’occhio, senza farne mistero, a quel maestro che fu Erodoto.
Polimnia non è solo le Termopili, stretto budello di convinta resistenza, poiché muove i suoi primi passi ancor prima di quello scontro decisivo, pur lasciando pregustare al lettore la gloria del momento che compattò la Grecia. Si spinge oltre, fino a Salamina e a Platea. Allo stesso modo, protagonista assoluto non è Leonida, re di Sparta, in tanti si avvicendano nelle geografia complessa della narrazione. Ancora una volta Cortese si cimenta in una costruzione corale del racconto. Particolare attenzione riserva ai personaggi “negativi” del persiano Dario e del figlio Serse.
E se, indubbiamente, l’acme della cronaca storica così come la racconta lo scrittore, si raggiunge alle Termopili, è tuttavia lo sguardo d’insieme che concorre a dare completezza e ad aggiungere pathos alla specifica circostanza. I personaggi di Polimnia sono dialogo e relazione. Si costruiscono e si delineano nel loro rapportarsi e raccontarsi a chi gli sta di fronte. L’autore, nella prima parte del romanzo, interviene poco, li lascia parlare. I momenti descrittivi diventano più presenti in quella che, tracciando una linea di confine immaginaria, potrebbe definirsi l’altra metà del lavoro letterario. Anche i temi che Cortese vuole far emergere sono diversi. Su tutti si staglia, nel riverbero della parola, l’ideale “Libertà”. «Dobbiamo porre un freno a tutta questa libertà… – tuona Dario a Otane mentre lo spinge a combatter per lui a Samo – perché se permettiamo a un piccolo corso d’acqua d’ingrossarsi e tracimare, provare ad arginarlo sarà dopo uno sforzo immenso, oltre che inutile».
Nel suo voler essere glorioso come Ciro il Grande, consumato dall’”idea giusta”, di cui non riesce a «servirsi senza farsene schiavo», vediamo re Dario, inizialmente spavaldo, “imbruttirsi” e “decomporsi”. È il decadimento morale di un uomo piegato dalla sete, prima, dal peso, poi, del potere. La sua ossessione si incarna, diventa quasi fisica, un tratto somatico dell’anima che si palesa. Una pesante eredità, carica di livore, ammorberà anche il figlio Serse. Il vecchio Otane, consigliere e uomo fedele di Dario, pagherà caro il prezzo del suo dissenso.
Sono davvero tanti i personaggi – Persiani, Spartani, Ateniesi, Tespiesi, Tebani – che si incontrano lungo il cammino letterario ordito da Cortese. Su un palcoscenico immaginato, i riflettori vengono puntati ora su quello ora sull’altro che insieme concorrono a rappresentare la Storia. Non è la descrizione delle battaglie ciò che colma il lettore ma l’attesa, quel lasso di tempo “muto” dove tutto si compie. È il momento in cui avviene l’incontro e la conoscenza dei protagonisti di questi particolari eventi. Fra tutti emerge Dario, quel sovrano che nella libertà vede naufragare il proprio ideale di gloria. E sebbene il padre Istaspe lo abbia avvisato: «[…] Se anche hai la certezza di poterne sopportare il fardello, la grandezza può schiacciarti, spazzandoti via», il giovane Dario cresce e penetra in quella visione assillante.
Tra battaglie, congiure, tradimenti, stragi, oscuri malefici e rivolte, gli ingranaggi della Storia si muovono quasi invisibili e i destini degli uomini che ne percorrono il sentiero si compiono. L’arco della narrazione copre le Guerre Persiane e le vite dei protagonisti di quelle vicende. Nella lotta tra imperialismo e desiderio di libertà, Atossa, madre di Serse e moglie di Dario, definisce i Greci «razza senza padroni». «La democrazia […], la libertà di pensiero da difendere e dietro la quale difendersi – dichiara Dario – è soltanto una scusa utilizzata da certi potenti per appoggiare un regime piuttosto che un altro. Con quella scusa, Ippia, chiamano in causa il bene del popolo per mascherare le proprie intenzioni: imporre il loro dominio, rovesciando l’ordine e fomentando il caos. Così ti hanno cacciato da Atene, amico mio, credendo la tirannide il male e la democrazia il farmaco da somministrare come rimedio». E sugli Alcmeonidi aggiunge: «Ai Greci che li hanno appoggiati […] hanno fatto dimenticare che pharmacos vuol dire anche veleno».
Ciò che guarisce può anche uccidere, dalla corretta dose non si può prescindere. Dario lo fa, e dopo di lui Serse: si avvelenano di quell’idea che hanno pervertito. La superstizione persiana si scontra con la solida Legge degli Spartani e affonda. Questa potrebbe essere solo una delle diverse chiavi di lettura dell’opera di Alessandro Cortese. Se all’inizio il libro lascia un po’ spaesato il lettore che chiede ancora un momento per orientarsi nell’intreccio del racconto, trovata la bussola Polimnia diventa subito interessante e avvincente. Un lavoro sicuramente maturo che traghetta direttamente il lettore nello spirito e nell’entusiasmo con il quale l’autore ha agganciato la storia e l’ha fatta propria.
Maria Giusy Gerace
(www.excursus.org, anno VII, n. 69, aprile 2015)