di GAETANINA SICARI RUFFO – Un versetto dell’Inferno di Dante (VII, 1) dà lo spunto all’ultimo libro di Umberto Eco, Pape Satàn Aleppe. Cronache di una società liquida (La nave di Teseo, pp. 472, € 20,00), che definisce liquida la nostra attuale società, ricorrendo ad un aggettivo desunto dal sociologo Zygmunt Bauman, autore, tra l’altro, di Stato di crisi (Einaudi). Essa infatti vi appare pericolosamente ondeggiante tra declino e disfacimento, senza più la presenza dei valori tradizionali, affidata ad un pericoloso flusso di sperimentazioni ed improvvisazioni. Come nasce questo volume?
Va ricordato che, nell’ultima parte della sua vita, Eco aveva preso l’abitudine, accanto ai suoi testi di grande impegno filologico ed estetico (l’ultimo nel 2013: Storia delle terre e dei luoghi leggendari, Bompiani), di scrivere in forma di appunti, le cosiddette “bustine di Minerva” (dagli spazi liberi sulle bustine dei fiammiferi Minerva), una rubrica su l’Espresso, prima settimanalmente, poi quindicinalmente, fin dal 1985, per commentare brevemente con i lettori il tempo attuale. Le “bustine di Minerva” sono un discreto numero, articolate sul carattere effimero del tempo corrente, sospeso in un inferno di dubbi e di inquietudini: odi ed amori, razzismo, mass media, linguaggi, religione, filosofia, inganni, complotti ed altro.
La nuova casa editrice creata da Elisabetta Sgarbi, La nave di Teseo, fondata con il suo consenso, le ha pubblicate, inserendole in Pape Satàn Aleppe, il grido di Pluto nel canto dantesco per impaurire i dannati.
Essendo il libro un corposo zibaldone dell’attualità, contiene soprattutto i vizi e i difetti che ci ritraggono quali siamo: impazienti, ignoranti, presuntuosi, inermi e violenti, dai linguaggi impossibili, dalle opinioni strampalate, dai fatti sconnessi, per concludere che siamo tutti matti.
«Mi è parso pertanto comodo [le parole Pape Satàn Aleppe, Ndr]», si legge nell’Introduzione, «usarle come titolo di questa raccolta che, non tanto per colpa mia quanto per colpa dei tempi, è sconnessa, va ‒ come direbbero i francesi ‒ dal gallo all’asino, e riflette la natura liquida di questi quindici anni».
I temi sono brevi, quasi scelti per caso e in rapido movimento, senza legame tra loro, suggeriti di volta in volta dalla lettura d’un quotidiano, da un episodio riportato dai media, da uno scoop, da uno spettacolo televisivo, da un commento o una semplice osservazione o il flash d’un ricordo.
È nota da tempo, per esempio, l’attenzione che Eco ha dedicato ai social media che al di là dei pregi annoverano purtroppo molti difetti, tra l’altro d’aver concesso il lasciapassare a tutti gli imbecilli che ogni giorno vi dialogano. Dato che prima lo facevano con gli amici al caffè o in altri luoghi frequentati, ora si confidano sui social con libere espressioni senza nesso, con il risultato che «queste opinioni raggiungono udienze altissime, e si confondono con tante altre espresse da persone ragionevoli».
L’autore ci tiene a chiarire che non usa la parola imbecille in senso razzista, ma per indicare che uno, pur essendo un ottimo droghiere, un ottimo chirurgo, un ottimo impiegato di banca, può su argomenti su cui non è competente dire delle stupidaggini. E qui fa capolino il suo riso beffardo per dire come si sia inclini a parlare a vanvera. Poi, tra il serio e il faceto, aggiunge che ora è quantificato il numero degli imbecilli. Sono 300 milioni come minimo. E il calcolo è presto fatto. Infatti pare che negli ultimi tempi Wikipedia abbia perso 300 milioni di utenti: tutti i navigatori che non usano più il web per trovare informazioni, ma preferiscono stare in linea per chiacchierare coi loro pari.
Certamente per distinguere il vero dal falso bisognerebbe usare un filtraggio, e questo è possibile quando si adoperano siti che trattano argomenti di propria competenza, ma in altri casi? Spesso la stampa prende per sacrosante queste bufale, senza verificare la loro veridicità. Da qui falsità e imprecisioni.
A voler seguire il filo di tali rispondenze bisogna andare su e giù nel testo per trovare dove sono variamente diffuse. Per esempio, si ricava dal sommario che la continuazione del pensiero suddetto ritorna sotto la voce mass media, proprio nel cuore del trattato, a distanza dalla precedente osservazione. Vi si parla del mondo virtuale e delle sue potenzialità, ma pure del pericolo che può rappresentare.
Ci sono pagine che mettono in guardia sulla possibilità che il terrorismo, fenomeno del nostro tempo, s’infiltri a far proseliti tra gli utenti, come è realmente accaduto ed ancora accade. Qui la voce dell’autore diviene seria e profondamente ponderata. Certo non basta la prudenza dei singoli per vincere il fenomeno, ma occorrerebbe innanzi tutto porre fine alla globalizzazione, interrompendo il potere del business internazionale e ripristinando forme di vita moderate ed oneste, cosa che non dipende dal singolo, ma richiede un’inversione di tendenza dei poteri forti.
Ma in tutta l’opera, sia nelle comunicazioni leggere che in quelle più serie e motivate, s’avverte una sapiente tessitura di pensieri e di riflessioni che se da una parte dicono il disagio d’una confusione che si è venuta a creare, in questo nostro tempo corrente, per un’accelerazione del progresso tecnologico, dall’altra insinuano il timore che essa possa esplodere in qualcosa di molto rovinoso.
Gaetanina Sicari Ruffo
(www.excursus.org, anno VIII, n. 78, dicembre 2016)