Palamede, l’eroe cancellato – Alessandro Baricco

BariccoPalamedeVicenza

di ELISA MOSCA – Palamede era un eroe. Non un eroe qualunque, ma il più grande e fiero di tutti. Amico del volubile Achille, odiato invece dall’astuto Odisseo. Perché allora il suo nome non ci dice nulla? Omero non ci racconta forse la sua storia? No, Omero tace la vicenda di Palamede, comportandosi come se non fosse mai esistito. Il suo nome non compare nell’Iliade tantomeno nell’Odissea. Intorno alla figura di questo giovane dimenticato, Baricco ha voluto costruire il suo breve spettacolo per il Teatro “Olimpico” di Vicenza. Lo scrittore torinese ha trovato traccia di Palamede su fonti secondarie, da voci meno conosciute di quella di Omero e lontane dalla tradizione ufficiale. Proprio da qui parte la rappresentazione, tenutasi per tre giorni consecutivi, dal 28 al 30 ottobre 2015.

La rappresentazione si apre con un monologo introduttivo di Baricco fuori palco, in platea illuminato da un occhio di bue. È difficile immaginare una cornice più suggestiva ed azzeccata di questa. L’Olimpico con la sua forma ad anfiteatro e i suo fondali fortemente scenografici ha trasportato immediatamente gli spettatori in un’altra epoca, trasportandoli in un mondo così antico e lontano nel tempo che sembra persino difficile credere che sia davvero esistito.

Il monologo introduttivo ci informa immediatamente che la storia di Troia, quella che ci viene raccontata fin da bambini, è quella che le fonti principali ed elitarie hanno deciso di trasmetterci. Sono proprio queste fonti ad essere responsabili della damnatio memoriae ricaduta su Palamede. Baricco ci svela fin da subito la causa della sfortuna dell’eroe. L’errore di Palamede è stato farsi nemico un uomo potente, Odisseo, l’eroe integro e virtuoso, i cui viaggi ci affascinano da sempre. Palamede si era fatto un rivale ingombrante e molto influente che determinerà la sua rovina e la più ignobile delle punizioni: l’essere dimenticato. Nonostante il suo nome ci suoni nuovo lui è vissuto. E mentre Baricco lascia la platea le tende sul palco scoprono la scenografia olimpica e il nostro sguardo si posa curioso su delle colonne di cristallo. Da qui inizia la testimonianza della vita di Palamede, perché nonostante tutto, lui è vissuto.

Due uomini entrano con passo lento e misurato aggirandosi in quella che è la ricostruzione delle fondamenta di un tempio greco. Il tempio è reso simbolicamente dalle sole colonne. A terra delle corde di cui non è ancora chiara la funzione. «Lo abbiamo ucciso» tuona Michele Di Mauro, attore che interpreta un guerriero acheo che ha conosciuto Palamede. Il migliore, il più bello e benvoluto guerriero è stato ucciso dal suo stesso esercito, non gli è stato permesso nemmeno di cadere con onore ucciso dal nemico. È stato lapidato dalla sua gente che ora, attraverso le parole di Di Mauro, si pente e soffoca nel rimpianto. La sua apologia è rimasta inascoltata. La sua memoria è stata calpestata con la stessa ferocia con cui sono state lanciate le pietre che lo hanno ucciso. Gli uomini ora non riescono a capacitarsi di come sia potuto succedere, l’assurdità rende il delitto incomprensibile e ridicolo. L’atrocità a volte fa questo effetto.

Dopo aver narrato la tragedia di Palamede le corde vengono tese e le colonne cadono in frantumi. La delicatezza del cristallo si frantuma con violenza inattesa in mille pezzi, proprio come la vita limpida di Palamede, stroncata con cieca arbitrarietà.

Camminando sui cocci entra Veleria Solarino, colei che reciterà l’apologia che Palamede pronunciò tentando di difendersi, senza mai umiliarsi, trasformandola anzi in un atto di imputazione per il proprio accusatore. Ascoltando l’oratoria il delitto di cui siamo a conoscenza fin dai primi minuti dello spettacolo ci appare ancora più efferato e insensato. Non ha alcun senso. Le parole di Palamede sono logiche, razionali, appartengono ad un uomo che non ha paura di morire, amante dell’onestà e della giustizia.

Baricco conclude lo spettacolo con un secondo monologo che invita inevitabilmente a riflettere sul valore che siamo abituati ad attribuire alla memoria e alla giustizia. Alla luce dei fatti di cronaca di cui oggi siamo a conoscenza sembra davvero incredibile come l’uomo sia portato a compiere crimini efferati ed assurdi, inspiegabili e feroci. Forse può essere di conforto scoprire che in fondo anche gli Antichi, che tanto a lungo abbiamo invidiato, non erano poi tanto diversi da noi.

Menandro, nel suo pessimismo, pensava che morire giovani significasse essere cari agli dei: Palamede è morto giovane, immensamente caro agli dei, ma chi lo ha ucciso che cosa ha perso? Baricco ci ricorda che egli era considerato persino l’inventore della scrittura. Ucciderlo non è stato quindi un ignobile atto di ignoranza? Abbiamo guardato per secoli al mondo classico come a un modello irraggiungibile, sembra quindi strano riuscire a intravederne un lato più umano, che ci permetta quasi di coglierlo in fallo. Eppure Baricco ci aveva già dato un assaggio dell’umanità degli antichi nella sua breve riscrittura dell’Iliade omerica (Omero, Iliade, Feltrinelli, € 13,00).

Una volta usciti dal teatro dopo uno spettacolo come questo, a metà tra mondo classico e moderno, diventa surreale pensare che l’aria che respiriamo possa essere la stessa di Omero, di Achille, di Palamede e di Odisseo. Spontaneamente ci chiediamo dunque se dare o meno fiducia all’umanità, ma di sicuro su una cosa i greci hanno sempre avuto ragione: andare a teatro può essere davvero catartico, liberatorio, possiamo tirare un sospiro di sollievo per un’ora o poco più prima di tornare ad immergerci nella frenesia quotidiana.

Elisa Mosca

(www.excursus.org, anno VIII, n. 73, giugno 2016)