di RITA CASSANI – Si è conclusa a fine dicembre, presso la Galleria d’Arte Sant’Isaia di Bologna (via Nosadella, 41/a) la “personale” di Silvia Tampieri. Dare una definizione all’opera di questa artista appare riduttivo: l’esposizione stessa è solo un saggio della sua capacità espressiva e della facilità con cui riesce a valicare i confini delle singole tecniche.
Una passione che nasce molti anni fa, ma ha trovato piena espressione solo alla fine degli anni Novanta. Prima c’era una curiosità ossessiva verso tutto ciò che è arte, immagine, decorazione. Silvia acquista libri, colori, strumenti. Ripone tutto in un cassetto che non sa quando e come riaprirà. Ma che si trasformerà in una vera scatola delle meraviglie.
«Amo tutte le tecniche e non posso fare a meno di coltivarne quante più posso. Quando penso a un soggetto, vedo già come potrebbe diventare utilizzando questo o quel linguaggio – ci dice – poi parto. Ma mentre sto dipingendo, ad esempio, un trompe l’oeil, penso a come risolvere eventuali difficoltà che ho incontrato in un’altra opera che ho lasciato momentaneamente da parte… non mescolo le tecniche, ma tendo a portare avanti più lavori contemporaneamente».
Ne risulta una poliedricità che ricorda l’artista medievale. La caratterizza quell’umiltà che abbatte la separazione tra arti “maggiori” e “minori”. Che sia un mobile da decorare, un muro da affrescare, una tela da dipingere, una cornice da progettare, Silvia mette lo stesso impegno e il medesimo estro. Il risultato è che ogni suo manufatto appare nel suo doppio aspetto di oggetto e di opera d’arte. La cura dei suoi quadri, ad esempio, non si ferma all’immagine, ma prosegue nella progettazione della cornice, nella sua combinazione con i colori, i decori e le textures dei dipinti. Ne risultano opere compiute e complete in se stesse, nelle quali il dialogo tra l’interiorità dell’artista e quella di chi la osserva si fa attivo e vitale travaso di emozioni.
Ci confida: «Ho un rapporto difficile con le cornici. Non le amo particolarmente, e se le posso accettare per le grandi tele, non le tollero per le opere di piccolo formato. Mi trasmettono una sensazione quasi di claustrofobia. Preferisco che questi quadri interagiscano direttamente con la parete. In alternativa, progetto cornici di forma più originale, ad esempio inchiodando tra loro assi di legno che lascino aperto sui quattro lati un interstizio, dove la tinta della parete si può insinuare per ammiccare ai colori del dipinto, sia esso un informale, o un figurativo».
Forse l’antipatia per le cornici è in sintonia con il percorso di Silvia, come artista e come persona, che in parallelo alla propria maturazione artistica si è liberata di una serie di legami personali e professionali che sentiva limitanti. Una follia, per alcuni, una necessità, per lei.
La familiarità con i più diversi materiali (terracotta, cartapesta, ceramica, legno, colori sono solo alcuni) fa sì che le sue pitture dialoghino con la luce come rilievi, e che le decorazioni delle sue opere plastiche abbiano la vivacità dei dipinti.
«Ascolto con attenzione gli oggetti, i materiali e i supporti; sono loro stessi a suggerirmi cosa vogliono diventare. Capita anche che unendo tra loro materie eterogenee il risultato riesca a stupirmi. Il colore di Non siamo soli ad esempio, l’ho ottenuto mescolando vari pigmenti per pittura edile. La miscela ha cagliato e avrei dovuto buttarla, ma quando ho provato a stenderla su una superficie di prova, il risultato mi ha ricordato certe bellissime foto di ammassi stellari… Avevo una grande tela inutilizzata, proprio davanti a me, nel laboratorio: ho messo insieme le due cose ed è saltato fuori il dipinto». Silvia Tampieri
In Fiore di loto Silvia affronta il non-figurativo con una padronanza ammirevole. Il colore viene spatolato, gocciolato, spruzzato, colato. L’armonia musicale è data dalla sintesi di infinite gamme di colori, mischiate all’oro e all’argento, in un’iridescenza opaca in cui non una sola goccia di colore potrebbe essere spostata senza rompere l’equilibrio compositivo dell’opera. Eppure, la passione per la danza e la pratica della musica non influenzano la sua opera di pittrice. Così almeno dice. Anche se non potrebbe mai rinunciare a nessuna di loro.
Silvia padroneggia allo stesso modo il figurativo, il non figurativo e il trompe l’oeil. A ciascuna tecnica si dedica con le medesima intelligenza e rispetto. Quasi al confine tra i due mondi, Non siamo soli rappresenta una nebulosa. Un’immagine che a prima vista potrebbe far pensare all’astrazione più classica, in realtà si tramuta in qualcosa di essenzialmente figurativo. L’immagine di quell’ammasso di polvere cosmica e luce nel quale prendono vita le stelle, è qualcosa che certo non appartiene al vissuto quotidiano, ma rimanda ad altri mondi, richiamandosi alle illustrazioni dei libri di astronomia. L’equilibrio compositivo illude l’occhio dell’osservatore, dandogli l’impressione di un astrattismo che non c’è. Un esempio di come il figurativo possa venire declinato in una maniera del tutto inaspettata. Silvia Tampieri
«Inizialmente pensavo che la natura potesse offrirmi tutte le immagini già pronte di cui avevo bisogno – mi spiega – non sentivo la necessità di reinterpretare niente. Ho dovuto attendere di essere pronta, per poter capire ciò che mi ripeteva un mio maestro e cioè che potevo vivere e rappresentare ogni cosa in modo del tutto personale, trasformandola in un messaggio che fosse più “mio”. Non credevo che il percorso per arrivare a questo punto potesse darmi tante emozioni. Lo stesso rapporto l’ho con gli antichi maestri: non mi ispiro a nessuno in particolare, anche se mi incuriosisce tutto e tutto mi dà emozione. Amo i materiali e da lì principalmente parto. Mi piacciono i metalli: oro, argento e rame, amo la luminosità e l’ondeggiare ritmico dell’Art Nouveau». E di questo movimento, Silvia sposa anche l’assenza di confini tra le arti e gli artigianati, in nome di un “saper fare arte” che si esprime con le stessa intensità nella grande tela e nell’oggetto d’arredamento.
«Progetti per il futuro? Vorrei esplorare nuove tecniche, ad esempio la scultura – mi dice – nel mio cassetto ho già le sgorbie per scolpire il legno, e ho preso contatti con un artigiano per imparare a lavorare il metallo. Vorrei anche imparare a scolpire la pietra…».
Ci mostra un altro dei suoi dipinti. In esso ci pare di vedere già la realizzazione di queste promesse, ma allo stesso tempo un legame con la storia personale di Silvia. La Fucina rappresenta le scintille sprigionate dal ferro rovente quando viene battuto sull’incudine, tra le pareti annerite di un’officina. È mattina e dalla porta aperta si intravede il cielo semibuio di un paesaggio ancora semi-addormentato. «Da piccola guardavo mio zio che saldava e batteva il ferro – evoca – pensavo che mi sarebbe piaciuto imparare». Sarà questo il talento segreto di Silvia?
Rita Cassani Silvia Tampieri
Per conoscere meglio Silvia Tampieri e le sue opere: cell. 3391214899; email segniesogni@alice.it.
(www.excursus.org, anno VI, n. 55, febbraio 2014) Silvia Tampieri