di GIUSEPPE LICANDRO – Dal 2007 in poi in Italia si è registrata la drastica riduzione degli alunni che si sono iscritti ai licei classici, calati del 50% in 7 anni: nel 2014 solo 30 mila studenti – pari al 6% delle nuove iscrizioni alle scuole superiori – hanno optato per gli studi classici, mentre sono in espansione i licei scientifici e gli istituti tecnici. Le ragioni di questa fuga dai licei classici sono molteplici, ma in genere si ritiene che essa dipenda dal calo di interesse per gli studia humanitatis che sembra animare le nuove generazioni, protese al conseguimento di competenze tecnico-scientifiche in grado di facilitarne l’ingresso nel mondo del lavoro. Martha Nussbaum
La crisi della cultura umanistica non concerne, però, solo il Belpaese, ma è presente anche in altri stati occidentali e persino in una nazione come l’India, ricca di tradizioni filosofico-letterarie, la quale ha modificato il proprio impianto pedagogico in favore di un tipo di istruzione che favorisce le conoscenze tecnico-scientifiche a discapito delle altre.
È irreversibile la decadenza degli studi classici? È auspicabile che essa prosegua? Siamo sicuri che le società democratiche possano fare a meno della cultura umanistica? A queste domande ha provato a rispondere la filosofa statunitense Martha C. Nussbaum, docente di Diritto ed Etica presso l’Università di Chicago, nel bel saggio Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica (Introduzione di Tullio De Mauro, il Mulino, pp. 172, € 12,00) [1].
Il modello educativo finalizzata al profitto
Le riflessioni di Martha Nussbaum si inseriscono nel dibattito che da qualche tempo è sorto tra studiosi di vario orientamento culturale sul modello di istruzione più consono alle esigenze della società globalizzata, fungendo da riferimento teorico per chi considera imprescindibili gli studi umanistici nella formazione morale e intellettuale dei cittadini [2]. Il libro, infatti, denuncia i pericoli insiti in un’educazione troppo appiattita sulle competenze tecnico-pratiche e ribadisce – come scrive nell’Introduzione il noto linguista De Mauro – l’«importanza dello studio della classicità come prima chiave per aprire la mente alla comprensione dell’altro da noi».
L’autrice esamina i cambiamenti incorsi all’inizio del Nuovo Millennio nell’istruzione primaria, secondaria e universitaria dell’India e degli Usa, nazioni tradizionalmente estimatrici dell’arte e degli studi filosofico-letterari. L’esigenza di adattarsi alle regole della società globalizzata ha indotto i governi dei due Paesi a ristrutturare contenuti e metodologie dell’insegnamento, privilegiando l’apprendimento di nozioni «valutabili in base a test e ritenute idonee a un successo quantificabile in termini finanziari». Ciò ha comportato il ridimensionamento della cultura umanistica e l’accantonamento della didattica finalizzata allo «sviluppo creativo e critico», in nome di una “logica del profitto” pervasiva che rischia di svilire i valori costitutivi della democrazia, la quale abbisogna di cittadini riflessivi e creativi anziché di burocratici abili ad eseguire ordini imposti dall’alto.
Essendo convinta che «produrre crescita economica non significa produrre democrazia», Martha Nussbaum porta l’esempio della Cina, la quale nell’ultimo ventennio ha realizzato ritmi di sviluppo impressionanti, pur rimanendo uno stato sostanzialmente autocratico, dove spesso vengono calpestati i diritti umani. È errata, pertanto, l’opinione – propagandata da organismi come il Fondo monetario internazionale – secondo la quale «la crescita economica porterà automaticamente tutto il resto: sanità, istruzione, diminuzione delle disuguaglianze sociali ed economiche».
L’istruzione finalizzata alla crescita produttiva riserva a una ristretta cerchia di privilegiati l’acquisizione di «conoscenze più complesse nel campo della tecnologia e dell’informatica», trascurando però il livello medio di acculturazione dei cittadini, che può rimanere basso dato che il Pil cresce «anche se i contadini poveri restano analfabeti». In Occidente, dunque, si è tornati a valorizzare l’apprendimento mnemonico e standardizzato che obbliga gli studenti a «memorizzare e ripetere a pappagallo al momento degli esami», scoraggiando la creatività e lo spirito critico.
Lo “scontro di civiltà”
Il terzo capitolo del saggio, dedicato alla formazione morale dei cittadini, riflette criticamente sullo “scontro di civiltà” teorizzato da Samuel Huntington, affrontando alcuni problemi che attanagliano la società occidentale. Martha Nussbaum non condivide il punto di vista di Huntington ed è persuasa che «“lo scontro di civiltà” è interno a ciascuna di esse» laddove «compassione e rispetto si misurano contro paura, avidità e aggressività narcisistica» [3].
Nei bambini sono presenti forti impulsi narcisistici, insieme alla propensione a provare «disgusto proiettivo» nei confronti di chi appare diverso da loro. Accanto a tali pulsioni negative, però, esiste anche la capacità «di provare compassione, di vedere l’altra persona come un fine e non come un semplice mezzo». Gli esperimenti compiuti in passato da Solomon Asch, Stanley Milgram e Philip Zimbardo hanno dimostrato come persone pacifiche possano facilmente assumere contegni aggressivi e violenti in contesti particolari, soprattutto quando «non sono ritenute personalmente responsabili» oppure «nessuno fa sentire una voce critica» o ancora se «gli individui su cui hanno potere vengono disumanizzati e deindividualizzati» [4].
I demagoghi continuano a riscuotere ampi consensi anche nella società postindustriale – che pur dovrebbe essere “vaccinata” contro il populismo e il totalitarismo – proprio perché in un adulto possono facilmente riemergere paure e fissazioni infantili, mai del tutto sopite. Spetta, dunque, all’educazione formare individui responsabili che sappiano provare empatia non solo nei confronti di chi condivide lo stesso panorama intellettuale, ma anche verso persone con un retroterra culturale del tutto dissimile.
Il metodo socratico e l’attivismo pedagogico
Martha Nussbaum predilige l’educazione di tipo socratico, basata sul metodo dialogico che induce il discente ad abbandonare i pregiudizi e a cercare da sé la soluzione dei problemi, dimostrando grande apprezzamento per i maggiori esponenti dell’“attivismo pedagogico” (Amos Alcott, John Dewey, Friedrich Fröbel, Horace Mann, Maria Montessori, Johan Pestalozzi, Jean-Jacques Rousseau, Rabindranàth Tagore). Essi – accomunati dal rifiuto del nozionismo, della ricezione passiva dei contenuti e dell’obbedienza cieca – hanno saputo elaborare metodi didattici innovativi volti a formare un tipo di cittadino «attivo, critico, curioso, capace di resistere alla pressione dell’autorità». Lo scopo prioritario di tale pedagogia è creare persone «capaci di pensare responsabilmente al futuro dell’umanità nel suo insieme», rifiutando il razzismo, la xenofobia e la guerra.
È fondamentale, pertanto, stimolare gli studenti alla ricerca critica, dando spazio alle discipline artistico-letterarie e storico-filosofiche, le quali concorrono più delle altre a plasmare «cittadini del mondo consapevoli». Molto importanti ai fini dell’apprendimento risultano l’arte e il gioco, che hanno il compito di «nutrire ed estendere la capacità di empatia». La danza, la musica, la pittura, la poesia, il teatro sono strumenti molto utili sul piano didattico, come ha dimostrato il modello pedagogico introdotto da Tagore nella scuola di Śāntiniketan, da lui fondata nel 1901 [5].
Esistono tanti istituti scolastici, in ogni parte del mondo, nei quali si fa ricorso all’arte come mezzo di socializzazione e di formazione intellettuale (ad esempio il Chicago Children’s Choir e il Morton Alternative di Cicero), ma il loro numero tende a diminuire a causa dei tagli di spesa imposti dai governi al settore dell’istruzione.
La crisi dell’educazione democratica
L’educazione alla cittadinanza democratica ha segnato nell’ultimo ventennio delle battute d’arresto preoccupanti, perché «l’imperativo della crescita economica ha indotto la maggior parte dei governi europei a rivedere tutta l’istruzione universitaria […] secondo linee orientate allo sviluppo economico». I finanziamenti statali sono stati spesso elargiti in base all’«impatto economico» che un corso di laurea può produrre, determinando così il declino degli studi classici. Espressione di questa mentalità economicistica sono le verifiche dell’apprendimento alle quali vengono spesso sottoposti gli studenti odierni, che si strutturano «sulla base di test a risposta multipla, mentre le competenze critiche e inventive […] sono messe da parte» [6].
Martha Nussbaum evidenzia come negli Usa – per fortuna – continuino ad esistere università nelle quali si privilegiano ancora gli insegnamenti umanistici, grazie soprattutto ai finanziamenti privati, in particolare dei laureati benestanti «che amano l’istruzione umanistica […] e vogliono che altri ne possano godere». Sulla falsariga della società americana si stanno finalmente muovendo anche svariati Paesi (Cina, Corea del Sud, Irlanda, Olanda, Singapore), nei quali si è compreso che «il pensiero critico è parte importantissima di una fiorente cultura imprenditoriale». In altre parti del mondo (Australia, Francia, Germania, Gran Bretagna, India, Italia) la situazione è preoccupante, perché i governi – e gli stessi sponsor privati – esigono un’istruzione finalizzata a produrre «nazioni abitate da persone addestrate tecnicamente che non hanno imparato ad essere critiche nei confronti dell’autorità».
Non per profitto, in conclusione, dimostra che un’istruzione meramente tecnico-pratica può rappresentare un grave rischio per le libertà democratiche: svilire gli studi umanistici, infatti, può indurre nei giovani «un’ottusa grettezza e una docilità […] che minaccia la vita stessa della democrazia», impedendo così «la creazione di una degna cultura mondiale».
Giuseppe Licandro Martha Nussbaum
NOTE BIBLIOGRAFICHE
[1] – Il saggio di Martha Nussbaum, pubblicato in inglese nel 2010 col titolo Not for Profit. Why Democracy Needs the Humanities (Princeton University Press), è stato tradotto in italiano nel 2011 dalla casa editrice il Mulino, che nel 2014 ne ha curato la ristampa.
[2] – In proposito cfr.: GAETANINA SICARI RUFFO, L’importanza degli studi classici nella società odierna, in www.excursus.org.
[3] – Nel saggio Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Huntington indica l’esistenza di nove distinte civiltà tra loro in competizione (africana, buddista, cinese, cristiana orientale, giapponese, indù, islamica, latinoamericana, occidentale), sostenendo che l’Occidente deve arroccarsi in difesa della propria identità culturale contro l’esterno. Cfr.: SAMUEL HUNTINGTON, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano, 2000.
[4] – Asch notò che «i soggetti sperimentali accettano di andare contro la chiara evidenza trasmessa dai loro sensi quando tutte le persone attorno a loro esprimono giudizi sensoriali sbagliati», Milgram provò che «gran parte dei partecipanti […] si rivelarono disposti a somministrare a un’altra persona scariche elettriche di livello molto intenso», Zimbardo scoprì che «i soggetti assegnati secondo un criterio casuale al ruolo di carceri e carcerati cominciavano quasi subito a comportarsi in maniera conforme».
[5] – Sull’importanza del gioco ai fini dell’apprendimento cfr.: JOHN DEWEY, Democrazia ed educazione, Sansoni, Milano, 2004; AMITA SEN, Joy in All Work, Bookfront Publication Forum, Kolkata, 1999; RABINDRANATH TAGORE, Il tremendo gioco della gioia, Emi, Bologna, 2009; DONALD WINNICOT, Gioco e realtà, Armando, Roma, 2005.
[6] – Le domande a risposta multipla si presentano come quiz nozionistici, nei quali il candidato deve limitarsi a segnare con una crocetta la soluzione esatta tra tre, quattro o cinque opzioni, senza poter esprimere opinioni personali. Cfr. Esempi di domande risposta multipla, in www.stat.unipg.it.
(www.excursus.org, anno VI, n. 64, novembre 2014) Martha Nussbaum