di STEFANIA BOSCHINI – Poeta, drammaturgo, musicista, romanziere cecoslovacco fortemente politicizzato. Queste sono solo alcune delle caratteristiche che distinguono e fanno emergere l’intensa voce di Milan Kundera, considerato tra i maggior autori europei del secondo Novecento.
Nato a Brno, nell’attuale Repubblica Ceca, lo scrittore in giovane età mostra un particolare interesse nei confronti della filosofia e della cultura musicale (appresa dal padre), da cui ne trae ispirazione per la propria formazione.
Scrittore di grande passione, aderisce al Partito Comunista seguendone le linee politiche fino al 1948, anno in cui viene espulso a causa di pensieri contrastanti. Tale accadimento non gli impedisce comunque di assistere attivamente alle vicende politiche del suo Paese, sino alla partecipazione al movimento di riforma della Primavera di Praga; occasione che gli costa sia il lavoro che la cittadinanza. Rifugiatosi nella patria degli artisti, Kundera si dedica alla carriera da docente presso l’Università di Parigi, continuando però a produrre per il pubblico europeo. Nonostante le sue opere vengano proibite in Unione Sovietica, lo scrittore non smette mai di scrivere in lingua madre, fino alla caduta del regime.
Autore poco conosciuto in Italia, ma apprezzato da un pubblico di nicchia, il suo nome è legato principalmente al romanzo di successo L’insostenibile leggerezza dell’essere del 1984, decorato da riflessioni filosofiche e autobiografiche, caratteristiche presenti in tutti suoi testi. Se, superficialmente, le storie narrate appaiono semplici e tipiche del romanzo, è sufficiente prestare maggiore attenzione per comprendere significati più profondi tra le parole scritte. Ciò è caratteristica del suo stile: la capacità di creare un prodotto omogeneo mescolando la forma del romanzo con quella del saggio e, allo stesso tempo, l’abilità nel rinchiudere in un unico contesto differenti ambiti, dalla musica alla filosofia, dalla storia alla letteratura.
Esordendo come poeta e debuttando come drammaturgo, la ragion d’essere dello scrittore si trova nei romanzi, da cui emergono passioni politiche e culturali senza che ciò ne appesantisca la lettura. Filosofo patriottico, analizza il genere umano e la conseguente oppressione a causa del suo essere ingenuo. È infatti possibile individuare i pensieri che più lo tormentano, coinvolgendo il lettore a compiere riflessioni sul sé: prendendo spunto da Nietzsche, Kundera pondera sull’esistenza umana trasformandola in una metafora composta da passioni ed intrighi amorosi, apparentemente leggeri per essere poi smascherati come pesanti. Linea facilmente individuabile in molte sue opere: La pesantezza, La lentezza, L’insostenibile leggerezza dell’essere.
Un secondo assillo dell’autore è dato dall’oblio e dall’ignoranza che, uniti tra loro, sono in grado di mutare la memoria dell’individuo. Da questo preciso tema emerge la sua opposizione nei riguardi di un regime che ha abusato del proprio potere per cancellare il pensiero di un’intera società, lasciandole solo vaghi ricordi; come è possibile constatare ne Il libro del riso e dell’oblio, Lo scherzo, La festa dell’insignificanza.
Kundera, dunque, questiona sulla memoria (e quindi sulla conoscenza), facilmente manipolabile: l’uomo, usato come pedina, è svuotato del suo pensiero e della sua dignità dai regimi totalitari. E altro non può fare che perdersi nella bellezza della leggerezza.
«L’uomo attraversa il presente con gli occhi bendati. Può al massimo immaginare e tentare di indovinare ciò che sta vivendo. Solo più tardi gli viene tolto il fazzoletto dagli occhi e lui, gettato uno sguardo al passato, si accorge di che cosa ha realmente vissuto e ne capisce il senso».
Stefania Boschini
(www.excursus.org, anno IX, n. 81, marzo 2017)