di STEFANIA BORGHI – Innesti di un’Italia che per brevi attimi è stata e germogli di un’Italia che poteva essere: Francesco Moroni, in Lo Stivale perduto. Storie di un’altra Italia (Prefazione di Ferruccio Pinotti, Effepi Libri, pp. 184, € 12,00), ripercorre le tracce delle esistenze di alcuni uomini e di una donna, in particolare, le cui scelte personali e professionali hanno generato effetti di risonanza nazionale, tracciando i lineamenti di un Paese istituzionalmente saldo, socialmente coeso ed economicamente forte, un Paese ancora da costruire.
Il pilastro: economia
In tempi diversi, la veemente poliedricità del pionieristico imprenditore Adriano Olivetti e, dall’altro, il calibrato e concreto riformismo del fine economista Federico Caffè, hanno ideato ed elaborato una struttura economica solida e dotata di meccanismi di autorigenerazione per fronteggiare quegli attuali momenti di acuta e profonda crisi, già previsti, con largo anticipo, da entrambi.
Il primo, negli anni Cinquanta, mise a punto un modello d’impresa tanto all’avanguardia da essere replicato, decenni dopo, nella Silicon Valley: la sua visione diede corpo ad una filosofia politica e sociale che «partiva dalla fabbrica per giungere a un progetto di rinnovamento integrale della società». Realizzò una strategia economica sorprendentemente vincente sia dal punto di vista dei profitti, sia delle conseguenze di medio-lungo periodo sul benessere sociale e culturale. Olivetti costruì un progetto rivoluzionario che avrebbe potuto rendere l’Italia un paese economicamente all’avanguardia.
Dal canto suo, Caffè, fautore di un riformismo pragmatico impregnato di passione civile, individuava nella politica economica uno strumento prezioso per la realizzazione di uno Stato che garantisse la coesione sociale tramite un’adeguata redistribuzione dei redditi e l’effettività delle pari opportunità. La sua analisi circostanziata aveva previsto sia le degenerazioni economiche cui avrebbe portato la sovrastruttura finanziario-borsisitica, sia i pericoli delle lacune politico-istituzionali che mostrava, già allora, il progetto per la costruzione di un’Europa unita. Delineò un umanesimo economico capace di attuare una trasformazione graduale ma radicale del sistema, quella stessa trasformazione sempre urlata da miseri rivoluzionari e, immancabilmente, sempre rinviata.
La struttura: società, politica e potere giurisdizionale
Antifascista, uomo politico, docente universitario, avvocato ma, soprattutto, padre costituente, Piero Calamandrei ha contribuito in maniera determinante a plasmare il corpo della nostra Carta Fondamentale. Avvertendo il pericolo del riaffiorare dell’«eterno fascismo e qualunquismo italico», saldati tra loro dalla cronica e latente indole alla desistenza, sottolineava l’assoluta importanza del dover intendere la giustizia sociale come «premessa necessaria e come graduale arricchimento della libertà individuale» intesa, quest’ultima, non come «garanzia di isolamento egoistico, ma garanzia di espansione sociale».
La perizia forense di Calamandrei incrociò il destino di un altro uomo il cui agire, pur mite, generò effetti prorompenti e fragorosi: il poeta-sociologo, educatore ed attivista Danilo Dolci. Il suo umile impegno fattivo, declinato tra proteste mai violente e scioperi alla rovescia, attuati per scardinare la fatalistica rassegnazione ad una condizione di perenne assenza di possibilità lavorative e di precarietà, ha provocato l’insperato risveglio di coscienze addormentate da abitudini disgraziate e, conseguentemente, l’avvio di una spirale di azioni concrete, volte a far ottenere alla collettività i diritti ad essa spettanti.
Ancora, la perizia e l’impegno certosino, la garbata fermezza e la rigorosa preparazione unite all’instancabile capacità di sacrificio, hanno reso l’attività giurisdizionale del giovane giudice Livatino estremamente raffinata nel colpire i patrimoni, le azioni criminali e, soprattutto, la mentalità mafiosa del contesto in cui operò. Il suo lavoro ha onorato il ruolo di primissimo piano che la funzione del magistrato svolge nel difendere le fondamentali strutture politico-isituzionali e sociali di una nazione, affinché essa possa crescere integra.
Anche la minuta ed esile figura di Padre Puglisi si rese capace di produrre effetti dirompenti in una società convinta di essere destinata ad una vita di rinuncia. La sua opera educativa, tenace e determinata, ha restituito un significato ormai dimenticato al ruolo del pastore di anime, tornato ad essere, con lui, un promotore di «bonifica morale e riscatto sociale».
Il contenuto: l’arte della vita umana
Il garbato sarcasmo che ha connotato il raffinato e affilato ragionamento civile coltivato dal giornalista Andrea Barbato ha contribuito a svecchiare un’informazione giornalistica divenuta negli anni ’80 conformista e ossequiosa, complice di un inebriamento sociale che ha congelato qualsiasi concreto tentativo di attuare quelle stesse riforme strutturali che ancora oggi non vengono realizzate. Barbato ha impiegato la sua professionalità di capace e colto giornalista nello sforzo di risvegliare una consapevole coscienza civile che potesse disporre di anticorpi allenati a riconoscere e respingere gli autentici nemici della democrazia: imbonitori e ciarlatani.
In campo medico, il “dottore dei matti”, Franco Basaglia, dai meandri oscuri dei manicomi-carceri dove l’Italia del boom economico stipava quella parte di povertà che portava su di sé i segni di un incombente disagio sociale, rivoluzionò il ruolo della psichiatria, strappandola dall’istituzionale compito di tutrice della tranquillità pubblica, per traghettarla verso l’autentico compito di individuazione e cura della sofferenza.
Da parte sua, la determinata e instancabile passione sportiva del gregario ciclista Alfredo Martini, è ancora emblematica dell’importanza strategica che, nello sport, come nella vita quotidiana, lo spirito di sacrificio, l’abitudine all’esercizio e allo sforzo in vista del raggiungimento di un obiettivo a lungo termine sia portatore di insperati risultati duraturi.
Ancora, il visionario regista Francesco Rosi, con i suoi soggetti cinematografici, ha raccontato decenni di vita del paese Italia. I suoi film d’inchiesta, connotati dalla bellezza estetica propria delle opere d’arte, restano strumenti di analisi e approfondimento, veicolo di desiderio di conoscenza lucida della nostra storia recente e mezzo di trasmissione di «una volontà di intervenire in cose che ci riguardano da vicino».
Infine, la donna che, con dignitoso e mai tradito riserbo, ha corroso barbariche usanze, figlie di arcaici pregiudizi e retrive convenzioni sociali: Franca Viola. Il suo “no” ha innescato conseguenze inimmaginabili per l’azione di una singola donna, ritenuta proprietà di consuetudini maschiliste e omertose. Un “no” che ha avviato un profondo processo di mutamento culturale e ha portato a ripulire il nostro codice penale da prescrizioni anacronistiche e violente.
L’opera di Moroni, in un susseguirsi rapido di frammenti di storia, a lungo nascosti dalla trascuratezza civica, si rivolge alla nostra memoria per risvegliare coscienza e azione. I protagonisti di questo viaggio, ognuno nei rispettivi campi d’azione, dalla politica all’economia, dalla sociologia alla scienza medica, dallo sport all’arte, sino alla complessa significatività di una singola esistenza femminile, hanno lasciato in eredità un raro patrimonio professionale, culturale ed etico per la costruzione di un Paese che può ancora essere.
Stefania Borghi
(www.excursus.org, anno VIII, n. 74, luglio-agosto 2016)