di TATIANA SANDROLINI – Rose Edelstein è una bambina di otto anni, timida ma vivace: è lei la protagonista del romanzo L’inconfondibile tristezza della torta al limone (traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan, minimum fax, pp. 332, € 16,50) di Aimee Bender, unica voce narrante di tutta la vicenda.
La bambina abita a Los Angeles con i suoi genitori, una normale famiglia medio borghese americana. Il padre lavora in uno studio legale, è un uomo fermo e tutto d’un pezzo, ma prova un odio profondo per gli ospedali, tanto che non riesce ad entrarvi neppure per la nascita dei figli; Rose lo considera un buon padre, così innamorato della moglie da concederle le idee più stravaganti: «Mio padre di solito accondiscendeva alle sue richieste, perché sulla sua figura ben piantata sui due piedi e sulla mascella era impressa la parola Capofamiglia, e lui l’amava alla maniera in cui il cuore di un birdwatcher salta su in gola nel sentire il richiamo di una spatola rosata».
La madre di Rose è una donna energica, in cerca dell’occupazione professionale perfetta per la sua indole indecisa e per certi versi stravagante. Decide di abbandonare un lavoro statico di ufficio per dedicarsi all’apprendimento di mestieri “manuali”, più consoni e vicini al suo estro. Nel corso del romanzo troverà occupazione in un’impresa di falegnameria.
La piccola ha un fratello maggiore, Joseph, ragazzo taciturno e geniale che si chiude spesso nella sua stanza, isolandosi dal resto del mondo. Egli subisce l’amore incondizionato della madre, che lo vede unico e cerca di passare insieme a lui più tempo possibile.
Il migliore amico di Joseph, George, ragazzo estremamente carismatico e intelligente, sarà il punto fermo per la protagonista, e nel corso del romanzo l’ aiuterà e appoggerà come nessun altro.
Alla vigilia del suo nono compleanno Rose assaggia un pezzetto della torta al limone scrupolosamente preparata dalla madre per festeggiarla al meglio. Insieme avevano sfogliato molti libri di ricette nei giorni precedenti, per trovare quella perfetta, quella che avrebbe donato felicità alla bambina e appagamento alla madre. L’aspetto è delizioso, il profumo inonda la cucina e la casa, gli ingredienti utilizzati sono freschi e prelibati, ma da quel momento in poi le cose per Rose cambieranno radicalmente.
In un primo momento il gusto è ottimo, poi prende il sopravvento una sensazione strana, un velo di qualcosa di oscuro e misterioso, come se non ci fosse alcuna connessione tra gli ingredienti e la madre che li ha mescolati; un senso di vuoto attanaglia la bocca della piccola. «mi sentii dentro un impercettibile mutamento, una reazione inaspettata. Come se un sensore, fino ad allora sepolto in profondità dentro di me, allargasse il suo raggio d’azione e cominciasse a scrutare tutt’attorno, allertando la mia bocca a qualcosa di nuovo. […] Le abili mani di mia madre avevano fatto il dolce, e la sua mente era stata in grado di equilibrare gli ingredienti, ma lei lì dentro non c’era».
Rose comincia da quel momento a sentire boccone dopo boccone tutte le sensazioni e i pensieri di chi ha preparato il cibo, percepisce persino il Paese e la fabbrica di provenienza di ciascun ingrediente. La bambina scopre di avere un dono, inizialmente è incontrollabile e insostenibile, un dono che fin da subito le appare come una condanna. I dolci della pasticceria dietro casa, fino ad ora considerati fra i più buoni della città, diventano ricchi di rabbia e frustrazione, il cibo della mensa scolastica assume tratti di noia, ma soprattutto il cibo preparato della madre nasconde infelicità e angoscia, per poi sfociare in senso di colpa.
In un primo momento Rose non parla con nessuno di questa sua capacità, se non con George, amico del fratello, che le crede e cerca di verificare come si manifesta questo inspiegabile fenomeno. Un giorno però la bambina, disperata, tenta di sfogarsi con la madre, implorandola di toglierle la bocca: «La mia bocca, risposi, cominciando d’improvviso a piangere. […] Cercavo di strapparla via – la mia bocca – con le dita. Strappala via!, dicevo. Ti prego. Mammina. Strappamela dalla faccia».
Il risultato dello sfogo di Rose è un ricovero in ospedale. Non affronterà più il discorso con la madre e cercherà col tempo di convivere con il suo dono-condanna.
Riuscirà la piccola Rose a “guarire”?
Scoprirà che non è l’unica tra i suoi parenti ad aver manifestato un potere simile e cercherà, nonostante tutto, di apprezzare la sua famiglia, rivelatasi tutt’altro che perfetta.
Quando si comincia a leggere questo testo, ci si sente avvolti da amore e tenerezza, immergendosi tra le immagini bucoliche dei fiori del giardino, per poi essere cullati verso la cucina dove la madre della protagonista prepara dolci come da copione delle migliori pubblicità. I profumi intensi sembrano reali, così come i sentimenti dei protagonisti.
Proseguendo la lettura ci si accorge di come questa realtà si mescoli ad elementi magici, quasi fiabeschi, che rapiscono e catturano l’attenzione del lettore, incuriosendolo su come sull’evolversi vicenda.
Nel complesso è ben riuscito l’intento di voler far pensare l’interlocutore dall’altra parte del libro; ci si sofferma a pensare alla vita di tutti i giorni, alle persone care e non che ci circondano. La loro immagine dimostra magari sicurezza, dolcezza, tranquillità, ma all’interno? Cosa provano veramente? Sono felici? Hanno pensieri dai quali sono tormentati? Quali paure si celano dietro ai loro sguardi, angosce di cui non parlano per non farci preoccupare?
Almeno una volta nella vita chiunque ha sognato il potere di leggere nella mente, di conoscere i pensieri altrui.
L’autrice ci dimostra attraverso la storia di Rose che non sempre un dono può rivelarsi gradito, ma può col tempo diventare una condanna. La piccola si trova disarmata davanti alla sofferenza della famiglia, alla tristezza celata delle persone. Riesce a trovare pace nelle merendine industriali dei distributori automatici, preparate da macchine, dal sapore ferruginoso ma per lo meno prive di qualsiasi forma di dolore.
La Bender invia un messaggio forte, una realtà descritta con elementi fantastici, dove tutti noi abbiamo diversi modi di percepire gli avvenimenti e le persone che viviamo ogni giorno.
Capitolo dopo capitolo è come se le parti stilistiche si invertissero: la realtà bucolica del profumo dei dolci e della famiglia felice diviene la parte fiabesca del testo e gli aspetti magici assumono caratteristiche reali, come la sofferenza e le emozioni che descrivono.
L’inconfondibile tristezza della torta al limone è un libro che va letto, assaporato e vissuto; liberate la mente e preparate i vostri sensi.
Buona lettura.
Tatiana Sandrolini
(www.excursus.org, anno VIII, n. 73, giugno 2016)