di MARTA JACOBS – «Io avevo chiaro, chiarissimo, non solo il senso di quel che diceva il poeta che neanche sapevo chi fosse; no, no, il senso, come dire, definitivo di tutte quelle parole messe in fila così e che solo così potevano darsi, tanto che a spostarne una, anche una sola, sarebbe svanito tutto. Non avevo e non ho parole per spiegarlo, quel senso, so solo che in quei versi c’era qualcosa che sta in fondo a tutti i bambini e a tutti gli uomini, anche a quelli che non sanno e non se ne accorgono».
Queste parole vengono pronunciate dal piccolo Nicolino la prima volta che, paralizzato dalla paura e nel contempo sospinto da una irrefrenabile curiosità, si reca nella libreria della sua città. Il racconto di Roberto Vecchioni Il libraio di Selinunte (Einaudi, pp. 72, € 8,00) è ambientato nell’omonimo paesino siciliano in un tempo non ben definito.
Per provare a comprendere meglio la citazione iniziale, bisogna riferire brevemente la trama del racconto.
Nicolino, il bambino protagonista e nel contempo narratore interno della vicenda, inizia a raccontare la strana situazione in cui, nel presente, sono costretti a vivere Selinunte e i suoi abitanti. Selinunte ha perso le parole. Nessuno, né grandi né piccoli, è più in grado di esprimersi in maniera articolata; le sfumature, caratteristiche irrinunciabili delle parole, sono scomparse. Nicolino, innamorato della giovane Primula, è profondamente frustrato dall’incomunicabilità che non permette ai due giovani di vivere a fondo il loro amore. In mezzo a quest’afasia generale, tuttavia, il bambino è l’unico che si è salvato, l’unico che «sa i nomi, e le sfumature, e resta in attesa».
Ma cosa è successo a Selinunte? La situazione presente necessita di una spiegazione che viene dal passato.
Nicolino inizia a raccontare di quando era piccolo, della tenerezza della madre, della leggerezza del padre e della strana e curiosa figura dello zio Nestore, uomo di mani, abile meccanico, deciso a rinunciare già alle parole quando ancora queste esistevano. La tranquilla quotidianità di Selinunte, descritta nella bellezza della sua acropoli sporgente a picco sul mare blu, della piazza Garibaldi, dei caffè e delle botteghe, viene sconvolta dall’arrivo inaspettato di un libraio, che decide di comprare il negozio prima appartenuto al sarto del paese. Tutta Selinunte, inizialmente, è attratta dalla figura bizzarra e inquietante del piccolo uomo, paragonato a uno sgradevole folletto, deciso ad istituire degli incontri fissi di lettura.
Nell’ignoranza e nel pressapochismo degli abitanti di Selinunte l’evento, seguito dai più la prima sera, passa in secondo piano già nella giornata seguente. Gli abitanti, spaventati dalla figura impenetrabile e schiva del libraio, iniziano a isolarlo dapprima gradualmente, in seguito in maniera definitiva e totale. I più, riuniti in improvvisati capannelli, si lanciano in sguaiati commenti nel bar di piazza Garibaldi, altri, col tempo, arrivano persino a negare i beni di prima necessità che il povero uomo si affanna a raccattare lungo le botteghe del corso principale.
Nicolino, spinto da una pulsione irrefrenabile e quasi animalesca, non potendo confessarlo ai genitori, inventa un escamotage per poter sgattaiolare fuori dalla propria stanza e, nel buio della notte, raggiungere, nascondendosi con tutte le cautele del caso, nel babelico e angusto spazio della libreria, ricoperta in ogni angolo da libri dalla copertina blu.
Ogni sera, in un’attesa febbrile e con la complicità dello zio Nestore, Nicolino si reca di soppiatto nella libreria e si lascia trasportare in un mondo che gli scuote le corde più profonde dell’animo. Perdendosi tra i versi di Pessoa, Sofocle, Leopardi, Dante, Dostoevskij e Borges, mediati dalla magnetica voce del libraio, Nicolino inizia a comprendere la bellezza della letteratura e la forza della parola. Incompreso dagli amici, con i quali è persino costretto a litigare per difendere il libraio, il bambino non intende la cattiveria dei compaesani, ormai risoluti nel credere che nell’uomo si celi il diavolo in persona.
La situazione precipita definitivamente una notte in cui la limpida aria, rischiarata dalla luce, viene offuscata da un incendio del quale non si conosce l’origine. Il finale, segnato da tratti onirici, conclude coerentemente la vicenda di Selinunte, concedendo una risposta fiabesca al mutismo che da quel momento paralizzerà la città.
Questo breve racconto è attraversato dall’uso misurato e ricercato delle parole da parte di Vecchioni, capace, non solo nella musica, di dire adeguatamente ciò che gli preme comunicare. L’autore è intriso dalla grecità che ha sempre amato e nel contempo insegnato e di cui esalta continuamente la bellezza. Il messaggio è chiaro e giunge diretto: senza le parole e le sue sfumature, che d’altronde sono semplici simboli portatori di molteplici significati, il singolo perde la caratteristica peculiare del suo essere uomo, la sua capacità di elevarsi che lo differenzia dagli altri animali; infatti, in seguito alla perdita delle parole, l’uomo regredisce verso uno stato primitivo e poco nobilitante.
La forza della parola e delle sue variegate sfumature si concretizza attraverso un linguaggio non artificioso e un messaggio semplice, grazie anche al protagonista che vede e sente tramite i sensi di un bambino, in un racconto scorrevole e di facile lettura. Vecchioni (che non è nuovo al mondo letterario) indaga, tra atmosfere fiabesche e surreali, l’impossibilità di un mondo che è costretto a vivere senza lògos.
Marta Jacobs
(www.excursus.org, anno VIII, n. 74, luglio-agosto 2016)