di GAETANINA SICARI RUFFO – Il Nuovo Mondo ed una riflessione su di esso sono l’oggetto di un libro curato da Valerio Capozzo, con il patrocinio del Comitato Nazionale Bassani, dal titolo Lezioni americane di Giorgio Bassani (Giorgio Pozzi Editore, pp. 168, € 15,00). Vi sono contenute le ragioni profonde dei vincoli che hanno legato lo scrittore Giorgio Bassani all’America, durante i viaggi che ha fatto oltreoceano. Sono vincoli non solo di scambi culturali fecondi, ma di affettuosa e libera frequentazione di università americane della California, Illinois e Indiana, nel corso del suo insegnamento. Il testo raccoglie saggi stimolanti presentati da autorevoli commentatori: Roberta Antognini, Valerio Cappozzo, Alessandro Giardino, Sergio Parussa nonché lo scambio epistolare con il professor Edoardo Lèbano che invitò Bassani all’Indiana University ed interviste che lumeggiano la personalità e le opere dell’indimenticabile autore italiano.
Apprendiamo infatti dalla figlia Paola che tutto l’arco di tempo che va dal 1967 al ’79 è stato trascorso dallo scrittore, ad intervalli, negli Stati Uniti, prima come presidente di “Italia Nostra” per valorizzare il paesaggio e la cultura della nazione e poi come docente, interprete privilegiato della letteratura. Non era la prima volta che l’America diveniva fonte d’ispirazione e di contemplazione da parte di scrittori italiani, basti pensare alla fortunata vicenda di traduzioni e divulgazioni esemplari, voluta da Vittorini e Pavese in Americana, intorno agli anni Trenta, che aveva espresso, come reazione al fascismo, il mito d’una terra vergine ed incontaminata, giovane e felice, vitale e ribelle, non era l’Italia.
Pavese, in Letteratura americana ed altri saggi, in proposito s’era espresso così: «Ci si accorse durante quegli anni di studio che l’America non era un altro paese, un nuovo inizio della storia, ma soprattutto il gigantesco teatro dove con maggiore grandezza che altrove veniva recitato il dramma di tutti […]. La cultura americana ci permise in quegli anni di vedere svolgersi come in uno schermo gigante il nostro stesso dramma».
Certo un altro clima ed un diverso intendimento muoveva Bassani verso l’America. Essa restava soprattutto il simbolo della libertà per antonomasia, la terra dal profondo respiro cosmico, crogiolo di popoli, di civiltà e di razze, uniti nella grande idea della reciproca intesa.
La via per accostarsi al pubblico statunitense venne allo scrittore dal film di De Sica Il giardino dei Finzi-Contini, ma già da tempo egli era entrato in comunicazione con i grandi scrittori americani: Melville, Hawthorne, Dickinson, Eliot, Capote ed altri, oggetto dei suoi studi e delle sue traduzioni, fin dagli anni Cinquanta, lavorando per Botteghe oscure e Paragone, senza contare le numerose volte che aveva attinto ad essi per epigrafi, citazioni ed altri riferimenti nei suoi romanzi e nelle sue novelle. Nel corso di un’intervista rilasciata nel 1959 sul romanzo moderno, ebbe ad indicare La lettera scarlatta di Hawthorne come il più bell’esempio di prosa narrativa: «Vorrei poter scrivere qualcosa che s’avvicinasse al lirismo ed alla tensione narrativa di The Scarlett Letter di Hawthorne: libro che non posso rileggere ogni volta senza provare la più violenta commozione».
Quindi Bassani, prima d’intraprendere il viaggio in America, era un appassionato lettore e traduttore delle opere dei classici americani, per esempio, di Henry James, di cui lo affascinavano non solo lo stile sottile e penetrante, come disse Emilio Cecchi in una sua recensione, ma pure gli interrogativi misteriosi sulla condizione umana, vicenda quasi sempre non comune, ma segnata dall’ansia del dramma e della solitudine, tramata di sentimenti delicati come nel personaggio di Micòl del Giardino dei Finzi-Contini che è stata giustamente accostata alla figura angelicata dei poeti “del dolce stile”. Così nella seconda delle Cinque storie ferraresi del 1956: La passeggiata prima di cena, l’epigrafe in inglese è tratta proprio dai Taccuini dell’autore preferito. Bassani intesseva nelle sue storie una tela molto complessa, arricchendole di echi e significati molteplici, facendo spazio ad intendimenti universali.
Il viaggio oltreoceano, che egli arrivò a definire «uno dei più felici della vita»,lo portò all’insegnamento nelle aule universitarie nel ’76, ma fu pure l’occasione per riflettere su se stesso e sulla sua creatività. «Mi sono convinto che l’unica realtà è quella dello spirito» aveva detto ad un intervistatore, confessandosi crociano, all’epoca della direzione di Italia nostra che aveva fondato, ora ripensava a quel suo precedente giudizio, trovandosi più dinamico ed attento alla realtà, proiettata come su uno schermo gigante e scopriva che gli aveva fatto bene ad uscire da quello che aveva eletto come suo centro, Ferrara, per affrontare un mondo più libero ed aperto, meno provinciale. Ne aveva guadagnato non solo il suo mondo interiore, per le nuove amicizie, per la scoperta d’un rinnovato dinamismo psichico, ma soprattutto la sua poesia, che trova un linguaggio sciolto e libero, adatto alla nuova consapevolezza, senza dimenticare la sensibilità del passato. Era come se il vecchio Bassani avesse incontrato un giovane che voleva far tesoro dei consigli dettati dall’esperienza, ma in modo più vivo e partecipe.
In gran segreto appare nel 1978, al ritorno del viaggio americano, insieme all’altra parte, Tale e quale,che lo integra: le due parti hanno una tensione diversa.Vi è l’attesa dell’amicizia e adombrata forse quella dell’amore:«Non lo si lasci andare solo l’uomo vecchio attenti / che non s’allontani senza compagnia lungo un / viottolo fiancheggiato di qua e di là da giovani / alberi […]. Attenti a non permettere che lui affronti senza una mano / amica stretta nella propria il deserto». E poi: «Tu però non pensarmi giammai a letto così di buon’ora / o mia rondine pensami viceversa / seduto ad un tavolino […] / vedimi là a covare solo solo dentro / il biondo cuore alcoolico l’immenso / vascello all’àncora del lato opposto della via soprastante sul ciglio / della notte e dell’oceano e di nessun altro più in attesa prima / di salpare e di dileguare tranne / che di me». Il tempo non è più solo il passato, ma vibra con il passato e attende il futuro: «Se ho cambiato! Non faccio adesso che pensare / a domani al mese venturo al prossimo anno».
È una questione di sguardo, non che quello del passato non fosse attento, ma in parte immobile, contemplativo, divenuto ora invece più penetrante e vivo, sorretto da un maggiore vigore. Bloomington, nello stato dell’Indiana, è il cuore di questo soggiorno dove, per breve tempo, la vita può apparire tranquilla e lieta anche per via degli attenti studenti, due in particolare: Edward Marguleas e Linda Nemerow Ulman (cui si deve un saggio su Epitaffio dello scrittore italiano, in Appendice). Fanno tenerezza i versi con cui il poeta saluta i suoi amici prima della partenza: «Davvero cari non saprei dirvelo / attraverso quali / strade così di lontano / io sia riuscito dopo talmente / tanto tempo a tornare. Vi dirò soltanto che mi lasciai / pilotare nel buio / da qualcheduno che mi aveva / preso in silenzio / per la mano».
Il mito d’America diviene realtà palpabile e vivificante come nella chiusa, che anticipa il futuro, della raccolta del ’74: Odore di fieno, là dove, dopo la morte del giovane ebreo ribelle nel lager, il figlio, lasciato in eredità ad Egle che l’ha amato, sembra «la personificazione stessa della vita che in eterno finisce e ricomincia.» Superato quindi il confine delle storie ferraresi, la discriminazione e la condanna dei deboli e perseguitati, appare, per dirla con H.Jauss, come “orizzonte d’attesa” di Bassani, un vitalismo possibile, anche se venato di malinconia, verso altre tappe spirituali che muovono dall’impegno civile e dalla fiducia.
Se nelle sue Lezioni americane Calvino aveva scoperto, tra l’altro, il senso della “leggerezza”, soprattutto come cifra indicativa, da lì a poco, del nuovo secolo, Bassani sembra invece indicare, nell’uguaglianza, nella giustizia e nella libertà lo spazio vitale dell’avvenire, il che sta a significare d’essere in grado di ricucire la ferita della guerra e della persecuzione ebraica per continuare il corso della civiltà bruscamente interrotta nel Novecento. Ma non c’è frattura tra Bassani scrittore e Bassani poeta, bensì una feconda identità. Talvolta la poesia ha spianato la via alla prosa, talaltra, quest’ultima ha fatto da battistrada alla poesia in una sinergica azione.
Così si spiega la frase dello scrittore: «Non avrei potuto scrivere niente prima del Te lucis ante», raccolta che è del 1947. Infatti, L’alba ai vetri esce nel 963, dopo Il Giardino dei Finzi-Contini. Epitaffio, del 1974, è pubblicato dopo l’edizione del ciclo del Romanzo di Ferrara. Insomma, poesia e prosa sono le due facce dell’interpretazione di Bassani in un flusso continuo di alternanza.
Il saggio dunque è di grande utilità nel contesto della letteratura contemporanea. Complesso ed esaurientemente articolato, mette a fuoco l’ultima stagione interpretativa di Bassani, ignota ai più, richiamandone tutto l’itinerario ed ampliando i confini della sua prospettiva esistenziale.
Crea inoltre parametri di analisi critica ed offre con le interviste lo spunto per chiarire molti quesiti, sorti in tutto l’arco dell’attività dello scrittore italiano, avviando un supplemento di dibattito molto interessante.
Gaetanina Sicari Ruffo
Per gentile concessione del portale Altritaliani.net, che ringraziamo, pubblichiamo, in forma ridotta, la recensione Le lezioni americane di Giorgio Bassani, apparsa il 06 aprile 2016 e disponibile al seguente link: http://www.altritaliani.net/spip.php?article2549.
(www.excursus.org, anno VIII, n. 77, novembre 2016)