Le meraviglie del mondo antico – Valerio Massimo Manfredi

di GAETANINA SICARI RUFFO – Valerio Massimo Manfredi, scrittore ed archeologo che, con il suo lavoro, ci ha abituati ad una narrativa favolosa ed avvincente su temi dell’antichità ed ha avuto il merito di ricostruire le figure di personaggi mitici come Odisseo, Alessandro Magno e tanti altri, ritorna a suscitare ancora grande interesse con il suo ultimo saggio, Le meraviglie del mondo antico (Mondadori, pp. 180, € 17,00), qui ripresentate con nuovi ed ampi dettagli, corredati da foto e da una bibliografia aggiornata. Troviamo che, assieme a Luciano Canfora, filologo e grecista barese, egli rappresenti quanto di meglio la cultura italiana contemporanea abbia espresso nel farsi promotrice di un ritorno ai classici latini e greci ed alla storia antica, come sollecitazione per il ripristino di quei valori che identificano la nostra civiltà.

Innanzi tutto il saggio ha il merito di comunicare come non ci sia divisione e salto di qualità tra Occidente ed Oriente: in origine le due civiltà sono interrelate. Si pensi all’Ellenismo in cui si sono suturati, grazie alla volontà del grande Alessandro, i valori della Grecia con quelli persiani, da cui la nascita della città di Alessandria e della sua grande Biblioteca con gli splendidi e numerosissimi volumi andati poi distrutti in un incendio. Oggi, rinata, la Biblioteca è il punto di riferimento per eccellenza di una cultura che vuol essere occidentale ed orientale insieme. Ad insidiarla però concorrono ben altri eventi che sono da ascriversi a motivi d’ordine politico-religioso.

D’altronde perché farsi la guerra, quando nel nome della cultura si possono integrare popoli di varie identità? Nell’immediato presente il multiculturalismo, contrabbandato come un sistema di sintesi nell’ambito della globalizzazione, viene messo sotto accusa. Il mondo antico invece aveva compreso l’essenziale problema di una necessaria integrazione tra Occidente ed Oriente che il presente sembra contrastare. Allora è utile, oltre che piacevole, andare con Massimo Manfredi a rivisitare le grandi opere del passato per supplire ad una riflessione che pare venir meno.

Dopo aver ricordato i giardini pensili di Babilonia, la grande piramide di Giza, il Colosso di Rodi, lo Zeus d’Olimpia, il Mausoleo di Alicarnasso, l’Artemision di Efeso, il faro di Alessandria, ci sorprende l’attestazione di una possibile ottava meraviglia di cui l’umanità deve ancora prendere atto: il Mausoleo di Commagene, eretto duemila anni fa. Tomba-santuario di Antioco I’Epifane, discendente di Alessandro, occupa l’intera montagna di Nemrut Dagi, alta 2150 metri, nell’Anatolia orientale vicino al confine con la Siria.

Ha forma conica, costituita da pietre scalpellate dalla montagna e poi gettate a pioggia sul comprensorio che sale a terrazze fino alla cima. Su di esso restano ormai, dopo tanti secoli, i frammenti di quelle che dovevano essere statue colossali rappresentanti i dignitari di corte ed il re stesso, attorniato dagli dei con aquile e leoni. Trovavano posto anche, scolpiti nella pietra, i suoi antenati appartenenti, da parte materna, ai Macedoni, e da parte paterna ai Persiani, quindi Occidente ed Oriente insieme, senza la prevalenza dell’uno sull’altro ma in uguale potenza ed autonomia.

Incisa sul piedistallo dei colossi c’è una lunga iscrizione in greco, scandita da numeri romani su di una superficie di 42 metri quadri. Essa ribadisce la volontà del grande re Antioco, filoromano e filelleno, di far sapere ai visitatori che egli «ha costruito su fondamenta invincibili dagli insulti del tempo» la sua tomba santuario dove il suo corpo dormirà in un eterno riposo, separato dalla sua anima pia in volo, secondo la tradizione orfica, verso le regioni celesti di Iupiter Ahuramazda. Questo monumento, noto forse solo ai cristiani siriani nel Medioevo, fu scoperto nel 1881 da un tecnico tedesco. Lo visitò l’archeologo Otto Puchstein, ma fu nel 1883 che si cominciò ad aprire il tumulo grazie all’archeologa Theresa Goell dell’American School of Oriental Research, convinta che sotto ci fosse il corpo del re e il suo tesoro che ancora non è stato trovato.

Le intemperie e i terremoti hanno lasciato i loro segni sulle sculture gigantesche che sono smembrate, tuttavia il loro effetto, assicura l’autore, è davvero sorprendente, specie al sorgere del sole: «È allora che il torrente Kahta s’incendia come una miccia dalla sorgente fino alle sponde dell’Eufrate, è allora che le teste gigantesche e attonite del re e dei suoi dei si animano quasi d’un respiro impercettibile, che i volti si arrossano,che le ombre dei colossi si allungano sulla collina di pietra vigilata da aquile e leoni». Il passato ha ancora molte sorprese da riservarci, per questo meritoria è l’attività dell’archeologia che unita alla storia svela grandi misteri.

Gaetanina Sicari Ruffo

Immagine: I Giardini Pensili di Babilonia immaginati da Denish Radio.

(www.excursus.org, anno VII, n. 68, marzo 2015)