di GIUSEPPE LICANDRO − La geopolitica è la disciplina che studia i nessi esistenti tra la geografia e la storia, evidenziando il ruolo rivestito nelle vicende umane dai fattori geofisici (clima, demografia, idrografia, eccetera). Uno dei suoi maggiori esperti è il giornalista britannico Tim Marshall, che nel 2016ha pubblicato il saggio Prisoners of Geography. Ten Maps That Explain Everything About the World (Elliot & Thompson).
Il volume è stato da poco tradotto in italiano col titolo Le 10 mappe che spiegano il mondo (Garzanti, pp. 316, € 19,00), riscuotendo un buon successo editoriale e arrivando in pochi mesi alla terza ristampa. Il libro è suddiviso in 10 capitoli che analizzano le aree geografiche più importanti del pianeta per capire – come si legge nell’Introduzione – «il mondo com’è oggi e come potrebbe essere in futuro».
La Russia e la Cina
I primi due capitoli prendono in considerazione le potenze che si stanno affermando su scala globale: la Russia e la Cina. Lo stato russo, diretto con fermezza da Vladimir Putin, è riuscito a superare le difficoltà seguite alla disgregazione dell’Urss, sfruttando il proprio sottosuolo, ricco di gas e petrolio.
La politica estera di Putin è stata finora improntata dalla strenua difesa degli interessi nazionali: dalla vittoriosa guerra contro la Georgia per il controllo dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud, all’occupazione della Crimea e al sostegno agli indipendentisti ucraini del Donbass; dall’intervento militare in Siria al fianco di Hafiz al-Asad, all’appoggio ai Paesi latino-americani in rotta con Washington.
Il prossimo obiettivo del Cremlino sembra essere la definizione di un patto politico col governo di Pechino e, in tal senso, Mosca dal 2018 «fornirà alla Cina 38 miliardi di metri cubi di gas all’anno, nel quadro di un accordo trentennale». Tim Marshall, tuttavia, sottolinea anche le debolezze della Russia putiniana: la popolazione relativamente bassa – solo 144 milioni di abitanti a fronte di un’estensione di 17 milioni di chilometri quadrati – e l’inconsistenza della flotta, poco presente nei mari e negli oceani che contano di più.
La Cina è «una grande potenza ormai convinta di essere protetta dalle sue caratteristiche geografiche», poiché ha conseguito la sicurezza dei propri confini, estendendo la sua influenza sulla Mongolia e occupando il Tibet. L’ex Impero Celeste ha vissuto negli ultimi vent’anni un’imponente crescita industriale e demografica, ma adesso aspira a diventare «una potenza affacciata su due oceani (il Pacifico e l’Indiano)» e si sta dotando di una potente marina militare.
L’espansione della Cina avviene con gli accordi commerciali e non con le armi: le sue aziende − oltre a lavorare stabilmente in Angola, Etiopia e Kenya − «stanno battendo l’Africa in lungo e in largo alla ricerca di minerali e metalli preziosi». Ci sono, però,alcune incognite che potrebbero intaccarne la stabilità, come l’inquinamento ambientale che minacciala salute dei cinesi o la dipendenza dalle esportazioni che espone al pericolo del crollo della domanda globale.
I dirigenti del Partito Comunista Cinese – dopo la repressione delle proteste democratiche del 1989 − hanno stipulato un “tacito accordo” coi cittadini per scongiurare altre rivolte, secondo l’assunto: «Noi vi faremo vivere meglio, e voi eseguirete i nostri ordini». Tale patto, però, potrebbe venir meno in futuro e i cinesi potrebbero tornare a ribellarsi contro il dispotismo dei propri governanti.
Gli Usa e l’Europa
Il terzo e il quarto capitolo sono incentrati sull’analisi degli Usa e dei principali Paesi dell’Unione Europea. Tim Marshall sottolinea come gli Stati Uniti, nell’attuale fase storica, mantengano la leadership mondiale, pur essendo impegnati nel «ribilanciamento della politica estera […] in direzione della Cina», ed è convinto che Washington accrescerà senz’altro la propria presenza in Estremo Oriente«senza però coinvolgere la Cina in un confronto militare».
Grazie alle trivellazioni dei fondali al largo delle coste e al fracking – la controversa tecnica di estrazione di idrocarburi dalle rocce di scisto tramite fratturazione idraulica – gli States hanno quasi raggiunto l’autosufficienza energetica e stanno per diventare esportatori di gas e petrolio. Ciò potrebbe comportare un calo d’interesse per gli idrocarburi del Medio Oriente, ma non la riduzione della presenza militare americana nell’area del Golfo Persico.
Sebbene il Pentagono − dopo gli smacchi in Afghanistan, Iraq e Siria – abbia rinunciato a “esportare la democrazia” nel mondo, gli Usa spendono in armi «una somma superiore al bilancio militare di tutti gli altri paesi della Nato messi assieme» e per Tim Marshall rimarranno a lungo la prima potenza planetaria. Tim Marshall
L’Europa Occidentale, dopo il 1945, ha vissuto un’era di prosperità, grazie al clima adatto alle coltivazioni intensive e alla conformazione idrogeologica che ha favorito l’urbanizzazione, le attività industriali e il commercio. La crisi economica del 2008 e i cambiamenti climatici, tuttavia, hanno acuito le differenze tra le nazioni europee del Nord, più ricche, e quelle del Sud, più povere,scatenando una conflittualità che ha messo in crisi le istituzioni comunitarie.
La Ue è nata per risolvere la rivalità tra Francia e Germania, unendole «in un abbraccio così stretto da impedire a ciascuna di avere un braccio libero per colpire l’altra». Ad avvantaggiarsi, però, è stata soprattutto la Germania, che è cresciuta economicamente, esportando i suoi manufatti in tutta l’Europa. La Francia si è trovata così di fronte al dilemma se accettare la leadership tedesca, oppure contrastarla a rischio di disintegrare la Ue, e non ha saputo risolvere il problema, alternando fasi di collaborazione a momenti di scontro.
Il Regno Unito ha aderito alla Ue in modo parziale, restando «con un piede in Europa e con un piede fuori dall’Europa» fino al referendum che nel 2016 ne ha sancito l’uscita. Il neo-isolazionismo si spiega alla luce di due concetti: «sovranità e immigrazione». Sul voto, infatti, ha influitola considerazione che gli inglesi possano fare a meno della Ue, perché «hanno buoni terreni agricoli, fiumi navigabili, facile accesso ai mari e […] sono abbastanza vicini al continente europeo da commerciare agevolmente», ma anche l’idea che i migranti arrivino in Gran Bretagna «incoraggiati a farlo dai paesi dell’Unione».
Il Continente Nero
L’Africa è un enorme continente, abitato da 1,1 miliardi di persone,la cui struttura idrogeologica non favorisce l’agricoltura né il commercio: ci sono, infatti, vaste zone desertiche e i grandi fiumi «scendono precipitosamente a valle con grandi salti che ostacolano la navigazione». Le condizioni di vita sono rese più difficili dalla diffusione di gravi malattie e dal sovraffollamento, oltre che dalla discutibile geografia politica creata dai colonizzatori europei a dispetto della demografia.
I 56 stati africani oggi esistenti sono ancora condizionati dai conflitti inter-etnici e tribali, che il colonialismo aveva tentato di risolvere con la creazione di stati nazionali unitari, ma che sono riesplosi drammaticamente dopo la fine del dominio europeo. Emblematica, in tal senso, è la triste storia della Repubblica Democratica del Congo, il cui territorio, finito sotto il controllo del Belgio a partire dal 1877, fu sottoposto per quasi un secolo a un duro regime coloniale.
Dopo l’indipendenza (1960), sono scoppiate molte guerre civili, provocate dai contrasti tra i gruppi etnici congolesi (oltre 200) e dalle ingerenze delle potenze straniere, attratte dalle «ingenti quantità di cobalto, rame, diamanti, oro, argento, zinco, carbone, manganese». La situazione della Rdc, poi, è peggiorata nel 1994, quando è esplosa una cruenta guerra tra Angola, Burundi, Congo, Eritrea, Namibia, Uganda e Zimbabwe, che è durata fino al 2004 e ha provocato tre milioni di morti.
Nonostante il perdurare della miseria e della corruzione, Tim Marshall individua comunque alcuni segnali di miglioramento del tenore di vita degli abitanti del Continente Nero. Infatti, grazie all’estrazione di petrolio e di minerali pregiati come il coltan, «in quasi tutti i paesi la povertà è diminuita e i livelli di assistenza sanitaria e di istruzione sono aumentati».
La Mezzaluna Fertile
Il Medio Oriente si estende per circa 1600 chilometri e include «deserti sterminati, oasi, montagne perennemente innevate, lunghi fiumi, grandi città e pianure costiere». Nonostante le condizioni geografiche non ne favoriscano lo sviluppo economico, la Mezzaluna Fertile è diventata importante grazie all’abbondanza di due risorse naturali: il petrolio e il gas.
Durante il lungo dominio ottomano (1299-1922), il grande deserto arabico − che comprende, oltre all’Arabia Saudita, anche «parti di Israele, della Giordania, della Siria, dell’Iraq, del Kuwait, dell’Oman, dello Yemen» − poteva essere attraversato dalle carovane senza che si oltrepassassero confini nazionali e dogane. Nel 1916, però, il colonnello inglese Mark Sykes firmò un accordo segreto col diplomatico francese François Georges-Picot, dividendo il Medio Oriente secondo una linea arbitraria che diede ai francesi il controllo del Nord e agli inglesi quello del Sud.
Nacquero così gli stati mediorientali, destinati a rimanere permanentemente instabili, a causa delle lotte tribali e dei contrasti religiosi. La fine del colonialismo lasciò il mondo arabo in balia di capi nazionalistici e religiosi che «tendevano a favorire la branca dell’islam (e la tribù) da cui provenivano». La situazione divenne esplosiva dopo la nascita di Israele (1948) e l’insorgere della “questione palestinese” che si è trascinata fino ai nostri giorni.
Lo scenario del Medio Oriente è mutato dopo la diffusione del fondamentalismo sunnita e lo scoppio delle “primavere arabe”, cui ha fatto seguito l’avvento dell’Isis. Si è inasprito inoltre, inasprito il conflitto tra sciiti e sunniti e, in particolare, si è accentuato lo scontro politico tra l’Iran e l’Arabia Saudita, che aspirano a diventare «la prima potenza della regione». Tim Marshall, dunque, ritiene molto difficile che la democrazia liberale possa in futuro attecchire tra i popoli della Mezzaluna Fertile, perché «le convinzioni religiose, i costumi sociali, i vincoli tribali e le armi contano attualmente molto più degli ideali “occidentali”». Tim Marshall
Gli altri stati asiatici
I capitoli centrali del libro sono dedicati alle altre maggiori nazioni asiatiche. L’India e il Pakistan si guardano da sempre in cagnesco e hanno già combattuto quattro guerre tra il 1947 e il 1999. Alla base delle loro divergenze c’è soprattutto il controllo della regione del Kashmir, che attualmente condividono con la Cina.
Il Pakistan non ha una tradizione democratica e presenta una debole coesione interna, a causa dei confitti fra le varie etnie (beluci, pashtun, punjabi, sindhi), al contrario dell’India che «ha costruito una solida democrazia laica con un senso unitario di identità nazionale». Il governo di Islamabad − dopo aver sostenuto segretamente i talebani in Afghanistan – è ora impegnato a sedare proprio la guerriglia talebana attiva nel suo territorio e si è legato economicamente alla Cina.
L’India si sta affermando come nazione emergente a livello planetario. Tuttavia, il governo di Nuova Delhi deve gestire vari movimenti separatisti (Assam, Nagaland, Punjab) e mantiene rapporti difficili con Pechino, a causa soprattutto dell’occupazione cinese del Tibet. È anche per questo motivo che gli indiani si sono avvicinati agli Usa e hanno messo sotto sorveglianza «la marina cinese nella rotta che attraversa i mari della Cina e lo stretto di Malacca».
La Corea è tuttora divisa − lungo il 38° parallelo − tra la Repubblica Democratica Popolare della Corea (sostenuta dalla Cina) e la Repubblica di Corea (appoggiata dagli Usa). Le due Coree sono formalmente ancora in guerra: dopo il conflitto che le contrappose tra il 1950 e il 1953, fu firmato un armistizio ancora in vigore, ma una nuova crisi militare potrebbe prossimamente riesplodere, a causa delle manie di protagonismo dell’attuale presidente nordcoreano Kim Jong-un.
La Corea del Nord è un paese molto povero, retto da quella che Marshall definisce «una monarchia comunista» al cui vertice si trovano i discendenti del dittatore Kim Il-sung, mentre la Corea del Sud è una nazione in crescita economica «fortemente integrata nel commercio internazionale».
Il Giappone − dopo un lungo periodo di disarmo − ha modificato la propria politica estera e,in seguito al risorgere del nazionalismo, si sta riarmando. I nipponici si sono legati sempre più agli Usa, temendo non solo la minaccia della Russia (a cui ancora contendono le isole Curili), ma anche l’espansione della Cina.
L’America Latina e l’Artico
Nell’ultima parte del saggio, Marshall si sofferma sull’America Latina e sul Mare Glaciale Artico. Secondo Tim Marshall,«i paesi latino-americani sono ancora molto indietro rispetto ai paesi nordamericani ed europei», a causa dei loro limiti geopolitici: la sfavorevole conformazione geografica; i contrasti tra gli stati (in particolare tra Argentina e Cile, Bolivia e Cile, Ecuador e Perù); il modesto sviluppo demografico; le continue ingerenze degli Usa.
Il Brasile − in verità − è riuscito a emergere, entrando a far parte delle nazioni in ascesa sul piano economico-politico (i Brics),e si sta pure impegnando nella costruzione pacifica di un’unione degli stati sudamericani, senza però riuscire a contrastare efficacemente il predominio statunitense. In America Latina sono state investite ingenti somme di denaro da parte della Cina, che sta «lentamente ma inesorabilmente soppiantando gli Stati Uniti come primo partner commerciale della regione». In particolare, l’imprenditore Wang Jing di Hong Kong ha speso 50 miliardi di dollari per la costruzione di un grande canale in Nicaragua.
Il Mare Glaciale Artico ha acquisito una notevole rilevanza sul versante geopolitico, perché i suoi ghiacciai si stanno sciogliendo a causa del riscaldamento globale «in coincidenza con la scoperta di giacimenti di petrolio e gas naturale». Le stime parlano di «oltre 47.000 miliardi di metri cubi di gas naturale, 44 miliardi di gas allo stato liquido e 90 miliardi di barili di petrolio».
La regione artica risulta divisa tra otto nazioni (Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Stati Uniti e Svezia) che sono interessate a estrarre gli idrocarburi. La prima potenza di quest’area è la Russia, che ha bisogno delle sue risorse naturali, come ha sottolineatolo stesso Putin: «i giacimenti offshore, specialmente nell’Artico, sono senza alcuna esagerazione la nostra riserva strategica per il XXI secolo».
Le altre nazioni, però, non sono disposte a cederle il controllo del Polo Nord, anche a costo di scatenare seri incidenti diplomatici, a dimostrazione che i popoli del nostro pianeta sono ancora incapaci di cooperare, perché «limitati dal sospetto nei confronti “dell’altro” e quindi dalla […] primordiale competizione per le risorse».In una fase storica segnata dal multipolarismo e dal ritorno della Guerra Fredda tra Russia e Usa, dunque, si delineano scenari futuri piuttosto allarmanti e si profila all’orizzonte l’ombra minacciosa di un terzo conflitto mondiale.
Giuseppe Licandro Tim Marshall
(www.excursus.org, anno IX, n. 87, novembre-dicembre 2017) Tim Marshall