di MICHELA SALA – Omini stilizzati contornati da spesse linee personali, colori che aggrediscono e attraggono contemporaneamente, bimbi a carponi, neonati che germogliano sugli alberi o dalla bocca di serpenti oppure una lingua fuoriesce da una spaventosa capoccia accolgono il visitatore per l’appuntamento più importante della primavera milanese. È la mostra-evento “Keith Haring. About Art”, che definisce uno dei filoni più enigmatici della produzione artistica mondiale: i writers e il graffitismo.
Nei frenetici ed euforici anni Ottanta del secolo appena trascorso i cieli dell’arte newyorchese hanno visto meteore colorate che si sono sparse nel mondo, contaminando intere generazioni. Andy Warhol, Christo e Jean-Michel Basquiat sono i nomi più conosciuti ai quali si deve aggiungere Keith Haring (Reading, Pennsylvania, 1958-New York 1990) il re dei graffiti, il rapper del motteggio e della vita trasgressiva. Nonostante la sua attività artistica sia durata una sola decade, a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta, con il minimalismo del suo segno tipico ed esclusivo ha influenzato tutta l’arte e la grafica moderna.
Keith Haring sceglie la strada al posto delle gallerie, sostituisce tele e pennelli con spray e vernici, dipinge superfici grandi, anche muri di metropolitane e vagoni. Queste decisioni gli consentono di comunicare direttamente con la gente comune, proprio quelle persone alle quali si vuole rivolgere e, inoltre, di trasformare aree neutre in altre dall’alto contenuto sociale. «Perché l’arte deve essere per tutti e in ogni luogo» era il pensiero di Keith Haring. Alcuni suoi lavori sono andati dispersi per non aver riconosciuto in tempo la sua grandezza; in Italia è rimasto solo il muro della Chiesa di Sant’Antonio Abate a Pisa, dal titolo Tuttotondo, con il tema dell’armonia e della pace.
I momenti per avvicinare il mondo di Keith Haring sono stati la mostra del 2006 alla Triennale e quella nel Serrone della Villa Reale di Monza l’anno successivo che ospitava l’intero murale di Milwaukee lungo ben trenta metri con i sui ventiquattro pannelli: un vocabolario per immagini contenute in un’opera che celebra la vita, i suoi problemi e le avversità.
A Palazzo Reale di Milano il curatore Gianni Mercurio ricostruisce ora la sua intera carriera attraverso oltre cento opere, molte anche di grandi dimensioni o mai esposte in Italia, provenienti da collezioni pubbliche e private americane, europee, asiatiche con la collaborazione di Madeinart e il contributo della Keith Haring Foundation. Ne scaturisce un artista multiforme legato agli sviluppi sociali (droga, razzismo, aids e discriminazione delle minoranze in particolare), facendo suoi i concetti e i codici legati anche al passato e al mondo intero.
La particolarità della mostra sta nel fatto che alle esibizioni di Keith Haring sono avvicinati anche dipinti e sculture di tradizione classica. Nel succedersi delle sale le sue opere sono poste accanto a lavori di Jackson Pollock, Jean Dubuffet a Paul Klee per il Novecento, ma anche ai calchi della Colonna Traiana, alla Lupa Capitolina, alle maschere tribali e ai dipinti del Rinascimento italiano.
Da questo dialogo si comprendono gli stimoli creativi più importanti che costituiscono l’ideale di Keith Haring, che è nella tradizione classica dell’arte senza appartenere a un gruppo esclusivo.
Le sue opere sono per la maggior parte non terminate o senza titolo, e quindi di non facile interpretazione; una tra le tante attira particolarmente l’attenzione – è il logo dell’esposizione – e vanta la didascalia: Unfinished Painting del 1988. Realizzata dopo un viaggio in Marocco, poco tempo prima della sua scomparsa è un “non finito” con gli sgocciolamenti alla Jackson Pollock. Nel quadrante in alto a sinistra compare un affascinante arabesco azzurro e viola, realizzato con i suoi segni grafici caratteristici che poi, diventati di colore liquido, scorrono verso il basso per lasciare una scia, o meglio un percorso sospeso mentre tutta la parte destra è vuota. Potrebbe indicare l’esistenza di un concetto temporale, forse anche il recupero di un’arte appena conosciuta che si deve evolvere o l’intendere la vita in modo differente senza sconvolgerla o soltanto l’invito e un consiglio a chi condivide le sua idee.
Una mostra interessante, facile da leggere al primo momento, ma non altrettanto da comprendere nella sua complessità, racconta l’immaginario di Haring che è diventato un linguaggio visuale del XX secolo.
Michela Sala
Notizie utili
Keith Haring: About Art
Milano – Palazzo Reale, Piazza del Duomo 12.
Fino al 18 giugno 2017.
Orario: lun 14:30-19:30; ma-me-ve-do 9:30-19:30; gio-sa 9:30-22:30.
Ingresso: € 12,00 intero; € 10,00 ridotto.
Catalogo: Gamm Giunti/24Ore Cultura
Informazioni: www.palazzorealemilano.it; www.mostraharing.it.
Foto di apertura: Keith Haring, Untitled, 1981 (particolare).
Foto interna: Keith Haring, Unfinished painting, 1988.
(www.excursus.org, anno IX, n. 82, aprile 2017)