di CLAUDIA SERMARINI – Il romanzo di Marco Proietti Mancini, La terapia del dolore (Historica Edizioni, pp. 252, € 16,00), è un libro sull’importanza della sofferenza. Il protagonista, dopo una vita di incertezze e rimpianti, in seguito a un incidente molto grave, è costretto a rimanere per mesi in un letto d’ospedale. Inizialmente fa fatica anche a parlare e muoversi, deve dipendere da altri: «Ho passato una vita a fuggire dalla noia, nel terrore che il non far nulla mi si stringesse in gola, e ora sono condannato alla peggiore delle inattività, prigioniero in questo spazio vuoto, privo di tutto».
Mentre le convinzioni vacillano e gli ideali del quotidiano vengono messi in discussione, egli trascorre il primo periodo quasi ignaro di ciò che gli accade intorno fino a un miglioramento lento ma progressivo; riesce pian piano a riprendere consapevolezza di sé, soprattutto grazie all’aiuto dell’infermiere Carlo, sua guida in questo percorso di rinascita. Il protagonista prima dell’incidente era un uomo insicuro, insoddisfatto della propria vita e delle relazioni costruite e poi distrutte con il tempo; in ospedale si rende conto dei suoi errori, rimpiange di non aver vissuto mai fino in fondo, ma solamente come spettatore dell’esistenza. Nei mesi di convalescenza consolida il legame con l’attuale compagna, la quale gli dimostra tutto il suo affetto, e riallaccia i rapporti con la sorella, che non sentiva da anni, e con la ex moglie, con cui chiarisce alcune questioni in sospeso.
Marco Proietti Mancini, attraverso pagine riflessive e ricche di emozioni, tratta una tematica delicata e lo fa in modo impeccabile, con puro realismo, senza cadere nella retorica. Il ruolo dell’uomo che ha vissuto tutta la vita costruendo muri intorno a sé per non soffrire permette allo scrittore di descrivere un percorso di cui solo il dolore può essere la terapia. Nel momento dell’incidente il protagonista si trova in un punto di non ritorno, insoddisfatto, cinico, freddo e soprattutto inconsapevole di se stesso.
La sofferenza lo aiuta a capire: un vetro lo separa dagli affetti che gli fanno visita quotidianamente e che rappresentano il “premio” di questo tragitto di espiazione. Egli stesso dice: «Così continuo a vivere, ed è vivere anche questo, perché l’incidente mi ha tolto tanto, tantissimo, ma non mi ha tolto la libertà di pensare, non mi ha tolto la possibilità di essere felice, anzi mi ha insegnato a capire cosa conta veramente. Mi ha lasciato qui, sospeso, e sospeso sto, galleggiando, e studiando me stesso, le mie reazioni, le mie speranze. Studio la mia vita com’era e come voglio che sia quando uscirò».
Le qualità di Marco Proietti Mancini si esprimono in particolar modo nella capacità di coinvolgere il lettore, che soffre insieme al protagonista, sente le sue ossa frantumarsi e poi ricomporsi, le sue paure, la sua voglia di lottare e rinascere più forte di prima, la riconoscenza nei confronti del compagno del suo viaggio interiore. D’altronde, come in ogni percorso di redenzione, anche La terapia del dolore ha una guida: Carlo, uno dei personaggi più importanti del libro. Con la propria storia, che commuove e lascia inermi, l’infermiere è in grado di entrare nel cuore del paziente e in quello di tutti i lettori. È grazie a lui che il protagonista non si abbandona allo sconforto e alla malattia, ma riesce ad andare avanti e dare a se stesso una possibilità.
Il lettore si pone le stesse domande del malato, chiedendosi come avrebbe reagito in quelle circostanze e, sebbene forse non arrivi alle stesse risposte, prova le sue incertezze e i suoi affanni. È esattamente ciò che desidera Marco Proietti Mancini quando sottolinea l’importanza della sofferenza, argomento portante di tutto il libro, la cui scrittura è curata nei minimi dettagli. Il merito dello scrittore sta infatti nel trattare una tematica difficile con uno stile semplice e travolgente, che fa de La terapia del dolore un bellissimo romanzo introspettivo.
Claudia Sermarini
(www.excursus.org, anno IX, n. 84, luglio 2017)