La sposa irlandese – Maeve Brennan

di FEDERICA CHIMENTON – Secondo uno studio condotto da una compagnia di assicurazioni americana, una delle maggiori paure delle donne statunitensi è diventare una senzatetto e, proprio questo fu il destino di una delle maggiori scrittrici di racconti del Novecento, Maeve Brennan, autrice della raccolta La sposa irlandese, edita da Bur (traduzione di Chiara Gabutti, Postfazione di Elisabetta Rasy, pp. 154, € 9,00).

Maeve Brennan,sconosciuta ai più, è in questi ultimi anni protagonista di una riscoperta letteraria e personale, complice anche la pubblicazione del fortunato saggio Zitelle. Il bello di vivere per conto proprio della giornalista americana Kate Bolick, che ne ha parlato lungamente (traduzione di Silvia Rota Sperti, Sonzogno, pp. 308, € 17,50).

Maeve Brennanè stata una figura misteriosa, complessa, bellissima e così intrigante che si dice abbia ispirato Truman Capote per la creazione dell’indimenticabile protagonista di Colazione da Tiffany, Holly Golightly.

Irlandese di nascita e newyorkese d’adozione, Maeve nasce a Dublino nel 1917 da Una e Robert Brennan, entrambi agitatori del movimento di emancipazione nazionale irlandese. Il padre alla nascita della figlia si trova in carcere per aver combattuto nella Rivolta di Pasqua del 1916 e, una volta uscito, diventa Sottosegretario agli Affari Esteri; quando nel 1933 viene nominato segretario dell’Ambasciata irlandese negli Stati Uniti, la famiglia si trasferisce a Washington DC.

L’arrivo in America segna l’inizio di una nuova vita per Maeve, che si laurea all’American University nel 1942 e inizia a lavorare come bibliotecaria, per poi prendere la decisione, con il supporto dei genitori che l’avevano sempre spinta a seguire le sue inclinazioni, di trasferirsi a New York per inseguire il sogno di diventare scrittrice.Un paio d’anni più tardi, dopo che i genitori e il fratello minore di Maeve decisero di tornare in Irlanda, riesce ad avere un colloquio con CarmelSnow, la caporedattrice della patinatissima Harper’s Baazar, che la assume come redattrice di moda.

Da questo momento inizia la vera e propria creazione dell’estetica di Maeve Brennan, fatta di uno stile impeccabile caratterizzato da tacchi alti, rossetto cremisi e scuri tailleur, che abbelliva sempre con un garofano o una rosa nell’occhiello e alcune spruzzate di Cuir de Russie di Chanel. Quello che sarebbe diventato il suo editor, lo scrittore William Maxwell, una volta disse che «vederla era come assistere all’invenzione dello stile». La svolta per la sua carriera si registranel 1949, quando viene assunta dal New Yorker e poi nel 1954, quando scrive il primo articolo della rubrica The Long-Winded Lady, “La Signora prolissa”, che vide la pubblicazione nei seguenti vent’anni di alcuni dei suoi racconti di maggior successo, tra cui anche quelli inseriti nella raccolta La sposa irlandese

I suoi racconti, così come gli scritti sulla città di New York, sono di ampio respiro ma allo stesso tempo accurati e affilati come un coltello per riuscire a ritagliare uno spaccato della società irlandese e americana, che sfuggiva nelle opere dell’epoca. Maeve Brennan dà spazio agli emigrati irlandesi che vivevano in America, come lei stessa era, oppure ambienta i suoi racconti in Irlanda, popolandoli di personaggi assolutamente realistici. La sua penna riesce perfettamente a descrivere i costumi della società perché osservati da vicino, ma con occhio estraneo: Maeve Brennan non era nata infatti in America,ammirava dunque la città di New York da straniera naturalizzata e, allo stesso tempo, si sentiva ormai lontana dai costumi irlandesi tanto da poterli mettere in discussione. Così facendo riesce a far emergere con la sua scrittura chiara, sintetica, poetica ma mai scontata il profondo abisso che esisteva tra la vita di donna che faceva a New York e quella che avrebbe potuto condurre in Irlanda.

Nel racconto Un sacro terrore, uno dei primi pubblicati dal New Yorker, la protagonista viene presentata al lettore già nelle prime righe: «Era l’addetta alla toilette per signore del tranquillo Royal Hotel di Dublino. Mary Ramsay, voce ruvida, mani ruvide, maniere ruvide in tutti i modi possibili» (p. 76). Attraverso i suoi racconti Maeve Brennan denuncia le oppressioni e le ingiustizie di cui le donne dell’epoca erano oggetto, i soprusi e la mancanza di rispetto nell’ambiente di lavoro, come avviene per Mary Ramsay, alla quale viene intimato da un giorno all’altro di lasciare il lavoro così come il suo alloggio in hotel: «Ma il giorno in cui arrivò la mazzata, tutto nella toilette per signore era esattamente com’era stato per vent’anni, il periodo in cui Mary Ramsay aveva regnato lì dentro. Era dipendente dell’albergo da trentasette anni, in una mansione o nell’altra. Non si poteva certo dire che non avesse dato la vita per quel posto» (p. 77).

Ciascun racconto esplora nel profondo la psiche femminile e i disagi che le protagoniste devono affrontare tra figli, un matrimonio spesso forzato e la circoscrizione angusta delle mura domestiche. Le descrizioni degli interni e degli oggetti casalinghi sono molto importanti nella scrittura di Maeve Brennan perché spesso incarnano l’impossibilità di realizzazione personale delle protagoniste e delle loro aspirazioni, simboleggiate ad esempio dall’angustia della casa in Mura domestiche o dalla presenza ingombrante del linoleum in Una fame rabbiosa. Tuttavia ciascuna protagonista conserva dei piccoli piaceri materiali intimiche infondono un senso di serenità, ma che sono celati a chiunque. In Il roseto, Mary Lambert, una bottegaia zoppa, vedova e con due figli a carico, riesce a essere felice un unico giorno all’anno quando può ammirare le rose del giardino del convento del paese: «Era così bello quando c’era il sole. Le monache potevano frequentarlo indisturbate, eppure era un posto eccitante, con i suoi rossi caldi e perfino ardenti, e il modo in cui ti riempiva le narici e lasciava un gusto dolce e rosso sulle labbra, rosso di troppe rose, rosso come tutti gli appassionati paramenti del culto, rosso come la lingua, rosso come il cuore, rosso e oscuro nell’estate che avanzava lentamente, come l’aprirsi traditore della carne delle monache, lì da dove temevano, e dichiaravano di temere, che il demonio potesse penetrare» (p. 34).

Maeve Brennanè l’antitesi delle donne che prendono vita tra le pagine, lei infatti è una donna molto autonoma, indipendente, che ha scelto di trasferirsi a New York per diventare scrittrice e mantenersi da sola, in un momento storico in cui le donne single con un lavoro sono guardate con occhio critico dalla società che le vorrebbe a casa a badare ai figli. Si sposa una sola volta nel 1954 con St. Clair McKelway, un collaboratore del New Yorker che aveva già tre matrimoni alle spalle, ma l’unione dura per un periodo molto breve a causa dell’alcolismo del marito. A partire da quel momento Maeve Brennan entra piano piano in un buco nero fatto di continui e ingiustificati traslochi, paranoie, instabilità mentale e collaborazioni saltuarie con la rivista New Yorker, in cui pubblica la rubrica The Long-Winded Lady solo altre tre volte(nel 1972, nel 1976 e nel 1981). Loscritto più significativo di quel periodo è senza dubbio Il principio dell’amore del ’72, che Alice Munro, vincitrice del premio Nobel per la Letteratura nel 2013, ha definito uno dei suoi racconti preferiti in assoluto. È la narrazione di tre generazioni di donne irlandesi in cui gli elementi, le ambientazioni e i personaggi sono così vicini e somiglianti alla storia della sua famiglia che quest’ultima la critica aspramente e Maeve Brennan non riesce ad accettarlo.

Inizia così a far perdere le proprie tracce, cambiando continuamente casa e rifiutando l’aiuto dei suoi amici e della rivista, nella cui sede è stata avvistata per l’ultima volta nei bagni agli inizi degli anni ’80 da una neoassunta. Viene rintracciata poi nel 1990 in una residenza per anziani senzatetto vicino a New York in condizione di grave instabilità mentale, dove muore poco dopo per arresto cardiaco.

Maeve Brennan è stata dimenticata finché era in vita, ma oggi possiamo renderle giustiziariscoprendola, rileggendola e consigliandola.

Federica Chimenton

(www.excursus.org, anno X, n. 89, agosto-settembre 2018)