di ELEONORA TASSAN – «Tutto ciò che sapevo era che all’improvviso l’intera famiglia aveva fatto “armi e bagagli” e se n’era andata a fare la vita da ricchi in Provenza, in Bretagna o in Normandia, non fu mai chiaro» (p. 7). Una famiglia di un piccolo paese sparisce, nessuno sa di preciso dove; lascia solo un annuncio, un annuncio di lavoro: «Cercasi giovane ragazzo/a, amante degli animali, volenteroso e appassionato per gestire piccolo giardino di campagna nei mesi estivi. Richieste competenze elevate. Buona paga, vitto, alloggio e lavanderia inclusi. Telefonare ore serali per colloquio informativo. No perditempo» (p. 7).
Questo è l’inizio di una storia, di un giardino e di vite che si intrecciano, narrata con dolce ironia da Lidia Zitara in La piccola estate (Pendragon, pp. 154, € 15,00).
Una ragazza insicura e con poca autostima legge l’annuncio e decide di proporsi per il lavoro. Telefona, vi è uno strano colloquio, il lavoro è suo. Ciò segna la svolta della sua estate, la partenza per un luogo che l’attendeva, per una rinascita: «si trattava di un piccolo giardino […] caratterizzato da una considerevole quantità di erbacce e qualche cespuglio di agnocasto […] C’era un piccolo orto, o meglio il relitto di un orto […] Definire il resto del giardino con parole come “sporco” e “disordinato” sarebbe stata falsa testimonianza condita da fantasia dolosa» (p. 18). Non un semplice giardino, ma la chiave di tutta la sua storia, del suo passato e del suo presente. Un giardino molto simile a lei, di cui prendersi cura; non solo da sistemare ma anche da amare, ricordandosi però, con un po’ di rammarico, che non può essere suo.
Goffa, taciturna, la protagonista (non conosciamo il nome…) è una ragazza che predilige la solitudine, perché il confronto con gli altri la intimorisce e le crea disagio, che non si considera mai all’altezza e non è consapevole delle proprie capacità. Si ritrova in un paese del tutto nuovo, in una casa circondata da persone mai conosciute, che rendono quell’estate la sua «piccola» e intima estate.
Federica, la sua nuova inquilina, molto carina e sempre sorridente, si occupa degli animali della casa, una dozzina di gatti e un cane. Anna, la vicina, conosce «il posto di ogni cosa, dalla carta igienica di riserva ai cucchiaioni di legno, e tutti i nascondigli della casa», è amica di quella famiglia da sempre e la protagonista si chiede continuamente se sia amata alla follia oppure odiata a morte: «Io probabilmente l’avrei odiata, e forse, ora che ci penso, se l’avessero amata alla follia, se la sarebbero tirata dietro, no?» (p. 23). Pina, la domestica, puntuale come un orologio svizzero ed efficientissima nelle pulizie. Emilio, il marinaio che vive in una casa stile Gaudì, è l’aiuto, «quello addetto ai lavori pesanti. Non me la sarei mai cavata senza di lui» (p. 32). Gian Mario, l’affascinante veterinario, «un perfetto stronzo», ma «davvero molto bello» (p. 45). Infine Cenzino, il ragazzo silenzioso che appare e scompare all’improvviso.
Tutti loro ruotano attorno alla casa e accompagnano la protagonista, ognuno in modo diverso, nella sua missione estiva di ridare forma e vita a quel giardino quasi dimenticato.
Tra le rose, il cardo scozzese, le piante di avocado, il pioppo che sussurra nella notte, i ricordi del passato le tornano alla memoria: l’iniziazione al giardinaggio, la nascita degli Amici del Giardino, Paola, Francesca, Matteo, ma soprattutto Lucio. Quell’amore dell’infanzia timido e nascosto, un’ammirazione e una devozione silenziosa.
È dai genitori che Lucio eredita la passione per i fiori «A casa sua c’era un dito di polvere sulle mensole ma fiori sempre freschi sul tavolino d’ingresso. […] La casa di Lucio era piena di meraviglie: scaffali di libri, quadri e nessuna bomboniera. […] Erano una famiglia moderna» (p. 43). Grazie a lui scoprì un mondo a lei del tutto nuovo, in cui i fiori, le piante ma soprattutto i giardini le permisero di vivere quell’amore e quella passione che teneva chiuse dentro di sé non riuscendo a condividerle con nessuno. «Crescendo non abbandonammo il nostro giardinetto, anzi, mettevamo il meglio di ciò che sapevamo fare, imparavamo a costruire strutture più solide, a fare aiuole più complesse e più durevoli» (p. 83).
Ma non tutto dura per sempre e i ricordi di quell’esperienza, del primo amore, degli Amici del giardino, le ritornano alla memoria. Stavolta, però, lei è la sola protagonista nel suo angolo di verde, e l’amore e la passione che tiene nascosti sono il motore della sua impresa.
Questo giardino, trovato pieno di erbacce, sporco, quasi abbandonato, vede una nuova vita, una nuova luce, emana nuovi profumi grazie alle amorevoli cure della protagonista. Ma ci vogliono tempo e pazienza per fare crescere nuove piante, così come è necessario del tempo per cominciare una nuova esistenza. Tuttavia succede qualcosa: quel giardino rimane incompleto. D’altronde tutti gli inizi avvengono a piccoli passi, in momenti diversi e in luoghi diversi. «Ogni giardiniere sa che potare la lavanda è una delle attività più appaganti poiché si libera un profumo fresco e pungente di cui le proprie mani sono il centro e che ci si porta addosso a lungo» (p. 149).
Una “piccola” ma intensa estate, testo pieno di incontri, di perdite, di nostalgie e di affetti, che grazie alle nozioni di giardinaggio, sapientemente inserite al suo interno, diventa quindi un romanzo amato anche dai veri intenditori del settore.
Un modo alternativo e insolito di parlare di piante e di giardini, che porta la firma di una giovane e anticonformista Lidia Zitara.
Eleonora Tassan
(www.excursus.org, anno VIII, n. 73, giugno 2016)