di CHIARA ZAGO – «Glasgow è il posto peggiore dove trovarsi in una giornata di marzo fredda, umida, piovosa, specialmente se avete l’auto dal meccanico, che vi presenterà un conto pari a due volte il budget annuale della Nasa, e se siete obbligati a tagliare capelli tutto il giorno» (p. 9).
Glasgow è anche il posto peggiore in cui trovarsi a vivere se non si segue per niente il calcio e se tutti, persino i colleghi di lavoro, vi considerano noioso e inetto, ancora più prossimo a fare danni con delle forbici in mano. È questa la vita di Barney Thomson, protagonista de La bottega degli errori (traduzione di Marco Scaldini, Feltrinelli, pp. 328, € 9,00), romanzo d’esordio dello scrittore scozzese Douglas Lindsay.
Barney è un uomo di mezza età, figlio succube di Cemolina, una madre imponente e molto eccentrica, e marito di Agnes, una donna interessata unicamente alle soap opera che segue a tutte le ore del giorno, ed è un barbiere ormai mediocre, lasciato in disparte dai colleghi e scartato da quasi tutti i clienti della bottega.
Di fronte a tutto ciò si sente schiacciato e non può far altro che covare rancore e progettare inquietanti – anche se irrealizzabili – piani omicidi, per vendicarsi di Wullie Henderson, figlio del proprietario della bottega e suo collega, e dell’altro barbiere – il più giovane, e amico di Wullie – Chris Porter.
La goccia che fa traboccare il vaso cade durante una delle tante giornate lavorative: anche se l’angusto negozio è pieno di clienti che aspettano un taglio di capelli, nessuno di loro intende farsi servire da Barney, rifiutandolo apertamente, anche se in apparenza con modi garbati o noncuranti. Quando Wullie interviene per calmare uno scatto d’ira e una scenata del collega, Barney si sente umiliato e trova come unica consolazione immaginare i mille modi in cui l’altro possa morire. Obnubilato dalla rabbia, finisce per raccontare queste fantasie ad un amico che però lo respinge e lo tratta come un pazzo, mentre la moglie non lo sta nemmeno a sentire. Quando immagina i suoi piani sempre più vicini e realizzabili, è la madre a fargli cambiare idea, suggerendogli di non perdere ulteriore tempo e uccidere lui stesso quei due.
È allora che l’uomo capisce che non potrebbe mai realizzare un piano simile, nonostante tutte le umiliazioni che ancora lo aspetteranno. Difatti, pochi giorni dopo, mentre i giornali urlano al panico per un killer che ha fatto a pezzi delle persone – mandando poi un loro “estratto” ai parenti per posta – Wullie avvicina Barney a fine giornata, avvertendolo che hanno intenzione di sostituirlo con un altro barbiere, amico di famiglia.
L’uomo non ci può credere: lui che tempo prima aveva conquistato la poltrona in vetrina (il posto del barbiere più abile, ora in mano a Wullie, grazie al nepotismo) viene sostituito – anzi licenziato – dopo vent’anni di servizio, con una menzogna. Dentro di sé medita vendetta, ma sa benissimo che sono solo fantasie, malate e catartiche fantasie; e che lui rimarrà per sempre quello che è. Così, tremante, finisce di preparare le sue cose per andarsene, accettando però di continuare a lavorare lì ancora per un ultimo mese. Più passano i minuti, più le mani tremano e più quel rifiuto, quel fallimento, gli pesa come un macigno.
Non può reagire: che cosa potrebbe mai fare uno come lui? Eppure, forse proprio a causa di quei tremori – metaforici e non –, il destino riserva a Barney una sorpresa tinta di rosso, che finirà per rimettere in gioco tutte le sue carte che prima credeva perdenti. Da lì si ritroverà a gestire due morti – seppur accidentali – e, ancor di più, un segreto talmente spaventoso da non permettergli di tornare indietro.
Il titolo (seppur tradotto) La bottega degli errori è una sorta di summa che ben rappresenta la situazione del protagonista e degli altri personaggi – poliziotti, colleghi e amici compresi: è a causa di un errore che la vita di Barney cambia, ed è a causa di quell’errore che verrà a scoprire un segreto inimmaginabile di cui non soltanto dovrà portare il peso, ma anche cercare di insabbiare; sono errori anche quelli commessi dai poliziotti che indagano sulla scia degli omicidi seriali e sul protagonista stesso.
Tuttavia è proprio grazie a questi errori che la trama si forma e che lo stile duro e incisivo di Lindsay lascia spazio a momenti di ilarità quasi impensabile in un noir. Questo romanzo però non è soltanto un noir; è una riflessione sulla natura umana, su ciò che si cela nell’animo di ognuno e sulle conseguenze che un piccolo errore, o anche solo un piccolo evento, può portare con sé.
Ancora più importante è il quesito, quasi insito tra le righe, che il romanzo fa affiorare nella mente del lettore: fino a dove ci si può spingere per sopravvivere? Chi ha ragione: la vittima che diventa carnefice o il carnefice che, dopo aver umiliato e deriso senza grosse remore, diventa vittima lui stesso?
Altro elemento di forza del romanzo è il linguaggio che Lindsay usa: rude, graffiante a volte, persino colloquiale, senza risparmiarci espressioni volgari e modi di dire. In un primo momento si riesce anche a percepire gli errori, leggendo a volte con fastidio, non essendo abituati ad apparenti “sbagli” – voluti – di tal genere. In seguito però, man mano che ci si addentra nella lettura, non si riesce più a farne a meno; persino il più basso insulto aiuta a calarsi in quella parte di Glasgow che vede sudare e palpitare Barney Thomson. I colpi di scena non mancano e, sebbene alcuni possano essere in parte previsti da chi è più avvezzo ai gialli, ai misteri e ai noir, la fine della vicenda riserva un’evoluzione che non può non far rimanere il lettore a bocca aperta.
Chiara Zago
(www.excursus.org, anno VII, n. 71, luglio-agosto 2015)