di CORRADO CONSIGLIO – Quando si parla di biblioteca, in genere, viene subito in mente il classico luogo (che più o meno tutti conosciamo) principalmente adibito alla raccolta, conservazione, consultazione e prestito di libri di vario tipo e, con lo sviluppo tecnologico, anche di materiale digitale (film e musica in primis) fruibili liberamente dai vari utenti iscritti al servizio.
Negli ultimi anni, tuttavia, si sta diffondendo un nuovo fenomeno che ha portato a rivedere il classico concetto di biblioteca così come il ruolo stesso del bibliotecario: il gaming in library. Tale fenomeno, nato negli Usa e in via di diffusione anche in Italia, consiste nell’accoglienza all’interno del patrimonio bibliotecario di giochi cartacei (giochi di carte e da tavolo) e digitali (videogame) e ha comportato inevitabilmente una serie di problematiche nuove per l’attività bibliotecaria.
Il testo di Francesco Mazzetta La biblioteca in gioco. I videogame tra dimensione ludica e ruolo educativo (Editrice Bibliografica, pp. 136, € 12,00), nonostante le sue piccole dimensioni, cerca di fornire delle linee guida in maniera, a nostro parere, piuttosto chiara e semplice su come la biblioteca e il bibliotecario possano gestire non solo tutto ciò che riguarda l’organizzazione del materiale videoludico, ma anche eventuali eventi ed attività collaterali legate ad esso.
L’autore, laureato in Pedagogia e bibliotecario, apre il suo libro con un primo capitolo che è al tempo stesso un’introduzione, «più o meno biografica», in cui espone le sue esperienze videoludiche giovanili che lo hanno portato a pensare alla possibilità di creare spazi appositi per il medium videoludico: «sono specialmente i giochi come Day of the Tentacle che mi fanno riflettere sulla possibilità/opportunità della loro presenza in biblioteca, per la vicinanza a un genere letterario allora in voga: “i libri game”».
Il secondo capitolo inizia con una descrizione del termine “videogioco” che tiene anche in considerazione delle eventuali variazioni di significato nella lingua inglese, a seconda che si parli di videogame, coin-op, arcade game o mobile game. Successivamente si traccia una breve storia del medium, partendo dalle origini fino ad arrivare alle console della scorsa generazione (PS4 e Xbox One sono escluse in quanto sono uscite poco dopo la pubblicazione del libro), per poi parlare dei videogiocatori, suddivisi essenzialmente in tre categorie (hardcore gamer, casual gamer e conscius gamer), e dei vari generi videoludici principali; in quest’ultimo caso troviamo un elenco di nomi forse un po’ disordinato. Del resto, come Mazzetta stesso ribadisce, «tale classificazione è un mix non molto ragionato di descrizione empirica delle caratteristiche dei giochi e di classificazione da marketing»; tuttavia, pur non scendendo nel dettaglio di ogni singolo genere, dà un’idea di quelle che potrebbero essere alcune delle tipologie principali di videogiochi che si potrebbero trovare in una biblioteca.
Nell’ultima parte del capitolo, infine, l’autore cita il testo di Eli Neiburger, Gamers… in the Library?!, in cui viene messa in luce la possibilità di fare tornei di videogiochi in biblioteca, sulla base di una serie di valori assegnati ai vari generi che ne stabiliscano il grado di “torneabilità” ossia «l’essere adatti all’organizzazione di tornei in biblioteca». È presente, inoltre, un accenno al sistema di classificazione PEGI, usato per indicare eventuali contenuti nei videogiochi non adatti ai minori e dunque essenziale per la biblioteca e il bibliotecario per sapere quali giochi poter dare in prestito o in consultazione a utenti molto giovani.
Nei due capitoli successivi si entra nel fulcro del testo e vengono messe in luce le motivazioni che possono portare a inserire in una biblioteca una collezione di videogiochi, così come le problematiche che si possono incontrare nella gestione dell’organizzazione del materiale videoludico e nelle iniziative ed eventi ad esso correlati.
Secondo l’autore, il videogioco non è solo più un semplice medium di intrattenimento, ma è «molti media diversi» e questo comporta la necessità di comprendere il medium videoludico nelle sue varie sfaccettature, in modo da distinguerlo da ciò che videogioco non è. Se il videogioco deve essere inteso «come “opera”, “cioè come mezzo artistico di espressione del pensiero” è sicuramente qualcosa la cui conoscenza rientra nei compiti della Biblioteca pubblica».
Molto importante, a nostro avviso, è il focus sul videogioco come mezzo di apprendimento e di educazione all’interno della biblioteca. Mazzetta, citando il testo di James Paul Gee Come un videogioco (Raffaello Cortina Editore), parla giustamente del ruolo essenziale che in questo caso ha la biblioteca, ossia quello di avviare strategie di literacy, di alfabetizzazione alla cultura videoludica, che non devono solo attrarre nuovo pubblico, ma anche «suggerire collegamenti tra videogiochi e altri media […] creando ponti tra generazioni di “immigrati” e “nativi digitali”e facilitando la comunicazione, il rispetto e la comprensione reciproca».
Un altro argomento di fondamentale importanza è quello della violenza nei videogiochi. In tale questione Mazzetta, però, non si sofferma più di tanto, limitandosi a fare qualche esempio di alcune scene particolarmente violente in certi giochi e a citare il testo di Lawrence Kutner e Cheryl K. Olson, Grand Theft Childhood: The Surprising Truth About Violent Video Games and What Parents Can Do, in cui tale tematica è affrontata in maniera più approfondita.
In relazione alla violenza nei videogiochi, ciò che conta per la biblioteca è senza dubbio la necessità di indicare sempre per ogni gioco il codice di classificazione PEGI che ne permette l’utilizzo e il prestito solo a chi ha l’età indicata in esso.
Nel capitolo quarto si affrontano gli aspetti più pratici: come gestire il prestito, la restituzione e la consultazione del materiale videoludico, ma anche come conservare in maniera adeguata tale materiale per far sì che non si rovini e come affrontare i problemi legali legati al prestito dei giochi in quanto coperti da copyright. Un’altra questione importante è la gestione degli spazi, soprattutto in caso di eventi, come i tornei di videogiochi, che richiedono un’adeguata organizzazione delle aree della biblioteca da adibire ad essi. Molto interessante la parte finale, in cui Mazzetta fornisce alcuni esempi pratici di biblioteche italiane che già hanno a che fare coi videogiochi. Da sottolineare, inoltre, i riferimenti sia all’Archivio videoludico di Bologna sia al Vigamus, il Museo del Videogioco a Roma.
Infine, il penultimo capitolo è dedicato al dibattito sul rapporto tra videogiocatori e l’utilità di avere collezioni ed eventi videoludici in biblioteca mentre la parte conclusiva del volume raccoglie prevalentemente una sitografia con cui approfondire i temi trattati, senza «nessuna pretesa di esaustività e significatività».
Abbiamo apprezzato molto la lettura di questo testo, semplice e lineare, anche se a tratti un po’ dispersivo su certi argomenti. Di per sé l’opera non vuole essere assolutamente un manuale approfondito su ciò che deve rigorosamente essere fatto o meno in biblioteca, qualora si abbia a che fare con del materiale videoludico; può però essere utile come spunto per tutti quei bibliotecari interessati al fenomeno del gaming in library, che vogliono avviare delle iniziative videoludiche, in modo da sapere prima a quali difficoltà si può andare in contro ed evitare a priori eventuali problematiche di vario tipo.
Corrado Consiglio
Nell’immagine di apertura: Interno della Biblioteca Comunale di Palermo.
(www.excursus.org, anno IX, n. 80, febbraio 2017)