di IVANA CARNEVALE – Alla riuscita manifestazione BookCity, svoltasi alla fine dello scorso mese a Milano, non è mancato l’incontro, affollatissimo, con Jane Austen. Un tè con Jane Austen (sabato 23 novembre, al Teatro “Elfo Puccini”) ha previsto ben tre ore, seguitissime, della proiezione di Ragione e sentimento della Bbc del 2008. Chiediamoci come sia possibile amare ancora così tanto una scrittrice che visse addirittura secoli fa (1775-1817)…
È forse l’autrice ottocentesca più sfruttata da cinema e televisione negli ultimi decenni. Avrebbe mai potuto il cinema non rivolgersi ad un’autrice amata come Jane Austen? Ma è verità universalmente riconosciuta che chi ha amato profondamente un libro, può provare lo stesso per la sua versione cinematografica?
Ebbene, i suoi romanzi posseggono una serie di caratteristiche, a livello linguistico e narrativo, tali da indurre registi e sceneggiatori a pensare di essere di fronte a sceneggiature quasi pronte: un’efficace trama, personaggi caratterizzati, dialoghi coinvolgenti e ben realizzati, ambientazioni perfette, un ottimo passo narrativo con i necessari colpi di scena e con le dovute risoluzioni finali, che in linguaggio odierno, possono riassumersi in sesso, soldi, scalata sociale. Un linguaggio che, per la sua chiarezza e il suo distacco ironico, si rivela “aperto” e adatto a un’epoca moderna. L’immortalità dei suoi testi è sottolineata da Virginia Woolf che la definì «disegnatrice di caratteri, la più perfetta artista tra le donne».
La madre del romanzo inglese del XIX secolo visse un periodo di profondo cambiamento della società inglese, grazie all’Illuminismo che in qualche modo riusciva ad andare oltre le antiche convenzioni sociali. Le vicende che descrive sono saldamente ancorate alla vita dell’aristocrazia di campagna inglese, che ha osservato con accattivante e delicata ironia, mettendo in luce i rapporti tra il carattere individuale da un lato, e la posizione sociale dall’altro. Con una prosa elegante e fredda, una sottigliezza che analizza e descrive il conflitto tra esigenze psicologiche e morali, si dimostra scettica sull’eternità dei sentimenti. Sembra suggerire che essi, per quanto intensi, possono essere sciolti o riallacciati, non necessariamente per ragioni opportunistiche, quanto piuttosto per motivi appropriati, per seguire il dettame dei bisogni razionali dei personaggi e dei romanzi.
Jane Austen è parte della commedia umana che descrive, ogni volta un personaggio femminile diverso si impossessava di lei ed ecco le sue eroine divenire sue proiezioni. È un’anticipatrice delle idee di liberazione della donna, una delle prime voci ad alzarsi sulla condizione e sulle difficoltà che incontra una personalità femminile libera. Denuncia la difficoltà nell’essere accettata, il fatto che la cultura fosse appannaggio solo maschile, e che il matrimonio fosse l’unica sponda riservata alle donne per conquistare rispetto e una certa autonomia (tema importante per i lettori di oggi come per quelli di allora).
Martin Amis scrisse sul New Yorker: «Jane Austen è bizzarramente capace di tenerci occupati tutti. I moralisti, quelli dell’Eros e Agape, i marxisti, i freudiani, gli junghiani, i semiologi, i decostruttivisti – tutti trovano pane per i propri denti nei suoi similissimi romanzi sui provinciali della classe media. E per ogni generazione di critici, e lettori, la sua fiction sembra rinnovarsi automaticamente».
Nell’ultimo decennio dello scorso secolo abbiamo assistito a un vero fenomeno dell’Austen-boom o Austen-mania, che ha invaso il campo dell’editoria, dei media audiovisivi, dell’arredamento, della moda, dell’oggettistica addirittura. Dopo due secoli è ancora un polo d’irresistibile attrazione e ispirazione per autori, registi e lettori di tutto il mondo.
Ivana Carnevale
(www.excursus.org, anno V, n. 53, dicembre 2013)