Il racconto breve – Bruna Graziani

GrazianiIlRaccontoBrevedi RITA CASSANI – «Ti scrivo una lettera lunga perché non ho il tempo di scrivertene una breve». A questa citazione di Voltaire, Bruna Graziani affida l’incipit de Il Racconto breve. Una galassia in palmo di mano (Kellermann Editore, pp. 128, € 10,00, con disegni di Dagospielberg), terza uscita della collana Show don’t tell.

Dopo Desperate Writers. Vademecum per irriducibili scrittori e Il personaggio. Prove temerarie di costruzione (sempre per Kellermann) Graziani affronta con questo libro il racconto breve. Se raccontare è un bisogno fondamentale dell’uomo, saper raccontare bene è qualcosa che si può imparare. E scrivere è un’arte che nasce sì da un’urgenza, ma si sviluppa con strutture che si possono e si devono tramandare. Così, in una serie di brevi capitoli, Bruna Graziani illustra il racconto breve, accompagnando il lettore per vie che ha già percorso di persona. Senza dimenticare che la regola non è mai, e mai dev’essere, una gabbia di ferro nella quale richiudersi; piuttosto è un sentiero invitante che non esclude il “fuori pista”: «A parlare del racconto sono due categorie: il critico e lo scrittore. La testa e il cuore. È sul lavoro dello scrittore che il critico dice la sua. Le regole – ammesso che si possa parlare di regole – si mostrano a posteriori, quando qualcuno le ha applicate, magari senza saperlo. Conoscerle, accende la luce sui meccanismi della scrittura […] Non ci sono metodi vincenti. Solo passione, costanza. E la fortuna di avere un’ossessione. Ma ricorda che nessuna teoria può sostituire l’opera».

Scrivere, narrare, ma anche apprezzare la scrittura e la narrazione altrui, non sono mai slegati da un quid strettamente soggettivo, per cui quello che è piaciuto a me può non piacere al mio migliore amico. Così Bruna Graziani definisce il “bel racconto” (ma potrebbe valere per un film, un romanzo, una fiction…): «I racconti belli sono quelli che quando chiudi le pagine del libro, stai lì qualche minuto a pensarci. Quando per un po’ ti rimane dentro il personaggio, quello che ha detto o fatto, chi gli ruota intorno, persone, oggetti. Quando ti ritorna in mente nitido anche una settimana dopo. Quando qualcosa dentro di te si è mosso e ha prodotto un cambiamento».

Per scrivere bene ci si può e ci si deve affidare all’esperienza di coloro che prima di noi hanno scritto, e possiamo eleggere come maestri. Così, il lettore-desperate writer viene invitato a riflettere sulla natura del racconto e sulle basi della narrazione, partendo da esempi, spunti operativi, spiegazioni.

Graziani paragona il racconto a una fotografia, un frammento di mondo del quale, per esigenze di brevità, si deve solo evocare quanto va oltre il bordo della stessa fotografia. In questo microcosmo narrativo si muovono i personaggi, vero perno ed elemento fondamentale del racconto, senza il quale nessuna storia può esistere. Una volta costruito, il personaggio acquista vita e personalità autonome, diventando per lo scrittore un amico immaginario, che parla attraverso lo scrittore stesso. Qualunque storia assume a questo punto tanta dignità da essere narrata, purché sappia raggiungere il cuore e la testa del lettore, spingendolo a riflettere oltre i confini della vicenda narrata.

Dal personaggio si passa al tema, al paesaggio, al punto di vista, al narratore, in un concentrato di suggerimenti e idee operative. Si esplora la dimensione simbolica del racconto che, da vero microcosmo, può riflettere e contenere in sé significati universali. Ed è proprio l’universalità del messaggio che rende la narrazione attraente; a proposito, Graziani cita Julio Cortàzar: «Un racconto è significativo quando spezza i propri confini con quell’esplosione di energia spirituale che illumina bruscamente qualcosa che va molto oltre il piccolo e talvolta miserabile aneddoto che narra».

Si passa poi alla struttura del racconto, all’incipit, al finale, attraverso le fasi creative e il montaggio. Alla teoria si alternano disegni che rafforzano i concetti raccontati a parole, rendendo la lettura ancora più piacevole.

Non c’è poi manuale senza esempi; ecco allora che tra i capitoletti troviamo diverse pagine d’autore, racconti o brani di romanzi che esemplificano la teoria. E si va da La sentinella di Frederik Brown a Il cappotto di Nicolai Vasil’evič Gogol’, a Odradek di Franz Kafka, solo per citarne alcuni. A chiusura di ogni capitolo, inoltre, troviamo esercizi, utili per chi vuole provare a mettersi in gioco. Eccone un esempio: «Descrivi la persona più odiosa che conosci (descrizioni statiche e dinamiche)». E, infine, non c’è manuale senza una bibliografia: in chiusura del libro, una bibliografia essenziale fornisce spunti di lettura per approfondire i temi trattati.

Tappa fondamentale del volume è tuttavia quella che chiarisce le differenze tra il racconto breve e il romanzo. Il racconto non è e non va considerato solo il primo passo dell’aspirante scrittore, da abbandonare quanto prima per i più gloriosi lidi del romanzo. Il pensiero corre ad un’autrice come Alice Munro, Premio Nobel per la Letteratura 2013, che ha basato tutta la propria produzione sul racconto. Recentemente anche alcune case editrici italiane hanno rivalutato e puntano moltissimo sul racconto, come ad esempio Delmiglio di Verona.

Proprio perché non è un romanzo in miniatura, il racconto ha tutta la dignità di un genere letterario, al quale si può dedicare tutta la propria carriera. «Nel racconto si lavora per sottrazione. La sua perfezione sta in ciò che si fa capire senza dirlo» dice Graziani. Ecco quindi che il racconto, a differenza del romanzo, si concentra su una sola idea, evoca quanto non può raccontare, ed evita tutte quelle divagazioni che il più prolisso romanzo può invece permettersi. Per farci capire meglio, Graziani riporta una metafora di Lish: «La storia è: “avanti, ti sto portando in questa casa. È buio in questa casa. Io ti tengo per mano. Ci stiamo avvicinando al ripostiglio. Non crederai mai a cosa c’è in quel ripostiglio. Non guardare in cucina. Là non c’è niente. È nel ripostiglio”».

In questo senso, il racconto potrebbe simboleggiare l’antidoto alla prolissità e al verbalismo, può essere un esercizio di stile, un modo sintetico di ordinare il pensiero. Per selezionare ciò che davvero importa, gettare nel fuoco quanto non direttamente funzionale, eliminare i rami secchi. E, infine, fa riflettere la considerazione di Voltaire: «Ti scrivo una lettera lunga perché non ho il tempo di scrivertene una breve».

Rita Cassani


(www.excursus.org, anno VIII, n. 73, giugno 2016)