di ANDREA F. FRANZINI – La storia di una ricerca e della sua riuscita. Rita Maria Coppa non narra, come la maggior parte degli artisti solo la paura, il disagio, il nervosismo di doversi ritrovare, ma anche la perseveranza, il coraggio e la delicatezza che permettono di riuscire nel proprio intento.
Il fiato delle Stelle (Edizioni Akkuaria, pp. 90, € 12,00) trova dei respiri precisi in cui incasellare gli elementi che accompagnano l’autrice nell’esplorazione del ricordo del figlio, del rapporto con la madre, del proprio posto nel disegno di Dio. Indiscussa protagonista di ogni componimento, la fede è onnipresente nei momenti di vita della poetessa e nonostante si senta forte il bisogno di testimoniare il ruolo che essa ha in ogni sua scelta, l’autrice si trova a gestire il rischio di allontanare il lettore laico.
Tuttavia, oltre all’attaccamento al cammino cristiano, Natura e Universo esprimono sentimenti altrettanto importanti e sono questi, unitamente ad una fiducia illimitata nelle capacità di uomini e donne, a catturare il pubblico a prescindere dalle credenze religiose.
La poetessa, infatti, sembra non avere come unico scopo il mettere su carta le emozioni, ma anche offrire delle perle a chi le presta ascolto: il suo regalo più prezioso è il racconto di un mondo personale e di uno spiraglio attraverso cui il lettore possa creare il proprio. È lei ad assicurare che non c’è chi trova la strada e chi non ci riesce: esiste invece chi non riesce a cercare, perché «c’è troppo dolore a scendere nel profondo / lì vi attendono le paure ed i mostri che voi stessi avete creato». Per questo, consiglia «fidatevi l’uno dell’altra e disimparate il resto», suggerisce che il foglio può essere «testimone dei miei pensieri e dei segreti» e la poesia «uno strumento per fare i conti con la coscienza».
I primi versi della raccolta omaggiano l’amore della vita e per la vita, affermando che il suo scopo sia la ricerca «del bello di sé. Il bello degli altri, dell’Universo». Qui, la mente è potente e quasi pericolosa, perché «non c’è niente che possa farvi più male che farvi del male ragionevolmente». Perciò fato vuole che si vada oltre l’analisi razionale per giungere dove solo la «ragione del cuore» può, ovvero a far «nascere un sorriso in una persona dolente». Il vincolo d’amicizia compare per la prima volta qui, in Energia d’amore, verso «colui che fa il cattivo», celandosi dietro un’apparenza. Infatti, «non lo è veramente. Costui può urlare di dolore, per chiedere o dare il perdono». È questo il senso di una delle sfumature di cui il testo è più intriso: quella del coraggio.
Infatti, riferendosi alla figlia, in Tenero Idillio, la madre lo definisce come «il solo rispetto della nostra vita», ovvero inteso come la capacità di perdonare e chiedere perdono, sembra raccomandare di non desistere dallo sforzo di essere la persona che si vuole. L’invito alla figlia, invece, è quello di «non smettere di desiderare, di conoscerti, e di ascoltare». Alla sua «preziosa creatura», che da ruscello «insiste / a trovarsi un varco, / con morbida tenacia / aspirando / a raggiungere il mare», assicura che si sveglierà regina, perché mettere in gioco se stessa le permetterà di essere vincente, anche se l’apparenza potrà dipingerla povera o debole.
Da figlia, però, svela che la certezza dell’affetto può non bastare: in A te, mamma il bisogno di dirsi l’amore fuor di metafora esplode fin dalla terza riga. «Ti amo mamma» contiene sia l’insicurezza del «vorrei essere il Cielo / per espandermi accanto a te», sia la certezza ostentata del «tu ci sarai», «non mancherai», «ci sarai», «festeggerai», «ci cullerai».
L’amato, altro protagonista dei componimenti, appare nell’Ultima lettera d’amore, in cui la donna ricorda l’alba o il tramonto, il mare e l’aria, il giardino dove il loro rapporto è iniziato e «dove noi due / avevamo imparato / semplicemente / ad esprimerci». La poetessa descrive l’amore con un lessico importante, il sentimento è «immenso e limpido», ma la semplicità delle immagini che rimangono quando «è stato strappato / tutto» è ancora più forte: non resta che un respiro lento, tenersi per mano e piangere di tenerezza. In questa stessa missiva, uno scossone viene dato da «le nostre dita, / avvinghiate», che si stagliano contro il sogno romantico del «nostro tempo, il castello, il verde intorno, / il cielo azzurro, la nostra fiaba». L’improvvisa apertura alla carnalità, però, viene smentita dalla dolcezza con cui pochi versi dopo ci si rubano solo i pensieri e le frasi d’amore. Altra variabile nel rapporto d’amore è il tempo, che prima si fa beffe degli amanti danzandogli intorno e rubandogli il respiro, poi sono essi stessi ad ingannarlo «in un volo d’amore senza Tempo», per essere restituiti all’amore nel non Tempo.
Infine, proprio in questo sentimento emergono in tutto il loro valore degli elementi che distraggono piacevolmente dai frequentissimi richiami religiosi: musica, danza e silenzio si alternano come per dare al cosmo interiore l’equilibrio tanto agognato: in Note in frantumi, la canzone d’amore è composta da note mute, perché «ci ascolteremo nel Silenzio», il «dolore libera il suono come un concerto in volo», una melodia interrotta restituisce i protagonisti all’amore, e soprattutto «la musica trascina la nostalgia» perché mette di fronte alla realtà.
Come la musica, il silenzio si annuncia dirompente e con voce sonante, ci si può affondare in Ascoltami, è cercato e interrotto nel Girotondo d’amore. Quando al silenzio si affianca la danza, l’universo dell’autrice trova, forse, l’unica espressione con cui dar vita a note mute. Ballando si traduce la totalità dei sentimenti umani: sinonimo di amicizia da donna a donna, d’amore fra uomo e donna e devozione fra madre e figlia, l’invito a danzare oltre le diversità traduce il legame che «come i tralci alla vite / una vita che non scarta né rifiuta», trattiene «i suoi rami / con tenerezza infinita». Sono i versi di una madre, ma sembrano quelli di una figlia, che nell’«invitami a dipingere l’aurora» chiede di essere aiutata nel decidere della propria vita ogni mattina, nel capire come vivere.
La necessità reciproca fra madre e figlia si mostra innegabile, ma a placare l’angoscia di dover riuscire a prendersi cura di sé arriva quasi in risposta la rassicurazione della mamma: è stringendosi ad un filo d’oro che ci si addentra nel sé interiore, danzando verso il centro della coscienza, perché «è nella purezza assoluta del vostro intimo spazio», che si trova il desiderio più grande e l’unica vera risposta: il voler essere felici.
Andrea Francesca Franzini
(www.excursus.org, anno VII, n. 71, luglio-agosto 2015)