Già latteria. Un bancone, una storia, una città

di WENDY COLUMBO – Quello raccontato nelle pagine del breve romanzo Già latteria. Un bancone, una storia, una città (Edizioni Pendragon, pp. 142, € 13,50), scritto da Giovanni Baiano, Luca Marozzi, Fabio Rodda ed Emanuele Venturoli, è uno sfumato viaggio memoriale, il cui flusso concentrico si connette a un unico cardine saldamente imperniato nel tempo: il bancone di una storica osteria bolognese.

L’odierna geografia antropica lo definirebbe un “luogo dell’anima”, ossia uno spazio intimo e famigliare, intriso delle disparate soggettività dei propri frequentatori che si amalgamano e si armonizzano in una dimensione concreta ma intangibile, circoscritta ma sfuggente.

Senza usare giri di parole troppo astratti, il proprietario del Marsalino e i suoi compari si autodefiniscono – con solida ironia e fare pratico, che sono oramai il loro marchio di fabbrica – «un bancone a mezza luna che somministra alcolici, cibo e felicità».

Benché qualcuno affermi che ricostruire la biografia del Marsalino sia come cercare di rimettere insieme i pezzi di una serata passata a bere nel locale [1], esiste, come per tutte le storie ben scritte, un inizio anche per questa osteria. In principio, infatti, molto prima di diventare un libro, il Marsalino era appunto un’osteria, anzi, una latteria gestita da tre fantomatiche sorelle bolognesi che, a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80, dispensavano pietanze, bicchieri di latte e vino sfuso ai clienti della zona.

Nell’anno in cui cadde il muro di Berlino, anche Marsalino compì la sua prima intima rivoluzione, e da tipico emporio bolognese divenne un locale moderno, fresco ma autentico, meta ideale per soddisfare le più svariate necessità: un tranquillo bar, lontano dal traffico per chi cerca un caffè in solitaria, ma anche un ritrovo sciccoso per bere un aperitivo con la propria “balotta”; a pranzo un ristorantino dinamico per chi desidera un pasto leggero e sfizioso durante la pausa dal lavoro, mentre dopo cena un luogo che regala atmosfere intime e avvolgenti, dove si può gustare un digestivo con gli amici di una vita.

In sostanza, il Marsalino è molto più che un’osteria, è addirittura molto più che un locale: semplicemente è un luogo multiforme che accoglie al suo interno identità dissimili, per certi versi contrastanti, divenendo per tutti una seconda casa, comoda e confortevole come una poltrona che ha preso la forma di ogni suo frequentatore.

Devono aver pensato qualcosa di simile i quattro autori bolognesi – chi d’origine e chi di adozione – che dopo anni di abituale frequentazione del locale hanno deciso di farsi ispirare da quelle quattro mura, trasudanti vita, alcol e ironia, e di provare a fissare su carta le storie dei personaggi reali e fittizi che si sono avvicendati negli anni davanti al bancone del Marsalino.

Inutile andare a tentoni, più realisticamente gli autori devono aver pensato esattamente quello che fanno pronunciare a una delle due protagoniste, Laura, quando, rivolgendosi ad Alice, sua amica e professoressa di vent’anni più grande, le propone di scrivere: «Non un libro sul Marsalino, ma un libro con il Marsalino. Un libro su Bologna, sul mondo, su buona parte di quello che è passato di qua e che ci passerà. Su quand’eri giovane te e quando ero giovane io, su noi due che siamo ancora giovani insieme qua dentro. Sulle risate, sulle cazzate, sulla storia del Coca Buton, su un bambino che scrive del gin tonic del Marsalino nel tema delle elementari. Ecco, una roba così».

Due donne come protagoniste, una scelta insolita ma vincente perché concede agli autori di abbandonarsi, senza imbarazzo machista, a una narrazione pervasa da un’emotività più profonda e sincera che per tradizione è stata – molto erroneamente – quasi esclusivamente ascritta all’universo femminile. Alter ego letterari degli autori, Alice e Laura sono due donne che, come loro, vivono, crescono, ascoltano e respirano la stessa città, Bologna, in due epoche storiche notevolmente diverse ma allo stesso modo appassionanti. latteria

Alice, salentina di nascita, che nel 2014 è una donna adulta e realizzata, arriva a Bologna nel 1989 per studiare. Negli anni che trascorre nella città emiliana impara ad amare la nebbia e il freddo quasi come il mare e il sole. Qui, accolta dalla “traboccante maternità” della città, si muove in un sottobosco di centri sociali e sale studio, aule di università e concerti. Quella di Alice è la Bologna trasgressiva, militante, rockettara e freakettona, di chi la vive come studente fuori sede a vent’anni e poi la rievoca con toni un po’ nostalgici a quaranta.

Quella di Laura, invece, è una spocchiosa città del nord, borghese e “fighetta” quanto basta, dove il tempo degli adolescenti figli di papà si trascorre rigorosamente in centro, a “fare le vasche” tra negozi costosi, caffetterie di design e discoteche alla moda. Tuttavia, questa raffigurazione di una Bologna intrisa di ethos berlusconiano ha vita breve, sia nella storia di Laura sia nel romanzo. Presto la giovane matricola subisce il fascino dei ritmi indipendenti e anticonformisti del vivere universitario: il rito di passaggio è simbolizzato dall’ingresso nel mondo del Marsalino, nello spazio libero per antonomasia che dà accesso alla maturità, a una nuova scoperta del sé in forma autonoma ed emancipata. In questo senso, è possibile azzardare una lettura di Già latteria come insolito Bildungsroman, dove la maestra di vita è la città di Bologna e l’aula in cui si tengono le lezioni è il bancone del Marsalino.

Inoltre, il libro potrebbe avere anche un’intenzione storica poiché, attraverso il racconto di tre piani biografici distinti, eppure inestricabilmente interconnessi – le vite private delle protagoniste, i cambi di gestione del Marsalino e la storia pubblica della città emiliana – in poco più di cento pagine, gli autori tracciano uno schizzo molto realistico di Bologna e dei suoi abitanti nelle epoche che l’hanno resa centro nevralgico in Italia di una certa cultura impegnata e controcorrente.

Alla fine, quale sia la collocazione di genere non sta a questa recensione stabilirlo. A chi scrive preme solo considerare che pochi locali nella storia hanno avuto la rara fortuna di avere frequentatori “folli“ che gli dedicassero un romanzo. Di certo il Marsalino se lo merita tutto. Basta solo ricordare, quando ci si va, di non dire mai ad alta voce il nome Giovanni.

Wendy Columbo  latteria

NOTA BIBLIOGRAFICA

[1] – Lungi da me appropriarmi delle trovate di altri, pertanto quel “qualcuno” è, nello specifico, lo staff dello stesso Marsalino che all’interno del sito web afferma la seguente frase «La storia del Marsalino è piena di buchi, di ricordi sfocati e di testimoni poco attendibili. Ricostruirla è difficile come ricostruire una serata passata al Marsalino, il giorno dopo […]» (W.C.).

(www.excursus.org, anno VI, n. 64, novembre 2014) latteria