di STEFANIA BOSCHINI – “L’insoddisfatto” Francis Scott Fitzgerald è stato uno scrittore che, con i suoi libri, è sempre riuscito a rappresentare la bellezza, fatta di donne cosparse di diamanti, uomini galanti ed eleganti, macchine imponenti, case ai limiti del principesco; un complesso di luccichii dove i bicchieri di cristallo dell’élite brillano sotto la luna. Una rappresentazione di una vita alto borghese che alla gente comune sembra non essere permessa. Fitzgerald pone sulla stessa bilancia il successo economico e quello sentimentale, mostrandoci come non avranno mai un peso eguale; ci fa sognare attraverso un mondo lussuoso cui tutti vorremmo partecipare, ma, con altrettanta capacità, riesce a portare il lettore alla realtà, rendendo la luce dei party esclusivi un’illusione.
Facente parte della “generazione perduta” (nella quale troviamo anche Ernest Hemingway, Thomas Stearns Eliot e Sherwood Anderson), i suoi romanzi rispecchiano il dramma borghese teatrale settecentesco, con una costante ricerca di eccessi. I suoi occhi diventano nostri grazie alle descrizioni meticolose, frutto non della fantasia ma derivanti dalla sua esperienza: attraverso il suo talento, assaporiamo la sua vita.
Ed è forse questo il motivo per cui viene definito “insoddisfatto” poiché, nonostante la popolarità, Fitzgerald sembra non accontentarsi, non abbandona la vita frenetica: in lui vi è infatti una costante voglia di partecipazione a costo della propria rovina. Si sposerà presto con Zelda Sayre che, dopo un rifiuto iniziale, accetterà, grazie ai primi successi, che faranno di Francis uno scrittore promettente. La seguente crisi del matrimonio, a causa di una relazione tra lei e un aviatore francese, è il segno di una prima inclinazione della relazione tra i due, che si concluderà con un libro autobiografico di Zelda, in cui accuserà l’ex marito di aver fatto fallire il matrimonio; la risposta della controparte sembra emergere in Tenera è la notte.
Gli ultimi anni della sua vita e la sua morte vengono oscurati sia in America che in Italia, nonostante il grande interesse che possono destare, dal dramma della Seconda Guerra Mondiale e dalla narrativa americana; la sua riscoperta avverrà solo negli anni Cinquanta grazie a Fernanda Pivano.
Fitzgerald scrisse numerose opere, ma poche sono quelle conosciute, o meglio, quelle che hanno avuto più successo: Il Grande Gatsby (1925) e Tenera è la notte (1934).
Uscito in Italia nel 1936 con il titolo Gatsby il magnifico, il primo presenta alcuni elementi della vita reale dell’autore, segnata dal forte desiderio di ascesa e dal fascino di appartenere alla società elevata. Gatsby rappresenta il self made man, colui che si è costruito da solo un impero di ricchezze, ospitando ogni sera, nel suo palazzo situato sulla baia di West Egg, persone altolocate. Ma, al di là di questa sfarzosità, ciò che Gatsby desidera più di ogni cosa è Daisy, tutto ciò che ha creato è stato fatto in nome dell’amore per lei. Nonostante tra i due ci sia un riavvicinamento, la realtà distrugge i suoi sogni; i suoi sacrifici si frantumano davanti ai suoi occhi, lasciando al lettore l’amaro in bocca.
«Sapeva che baciando quella ragazza, e unendo per sempre quelle indicibili visioni al mortale respiro di lei, la sua mente non avrebbe più spaziato come quella di Dio».
Tenera è la notte, ambientato sulla costa francese, è meno concentrato sull’importanza del ruolo sociale; troviamo uno psichiatra americano Dick Diver che, dopo aver lasciato il proprio lavoro, vive di rendita con i soldi della moglie Nicole, sua ex paziente. In quest’opera si possono ancora trovare elementi biografici dell’autore, tra cui la crisi matrimoniale, presentata in modo cupo e spettrale. Il ricordo della felicità passata viene annebbiato dalla solitudine, da sguardi assenti, da dialoghi vuoti. Fernanda Pivano in merito scrisse: «Tenera è la notte è forse l’opera più ambiziosa di Fitzgerald, quella alla quale lo scrittore lavorò più a lungo». Leggendo questo testo si può percepire l’illusione di una vita perfetta, una sofferenza graffiante che lascia aperte profonde ferite, difficili da rimarginare.
«La guardò per un momento e per un attimo lei visse nel luminoso azzurro del mondo dei suoi occhi, con curiosità e fiducia».
Fitzgerald trae dalla superficialità l’ombra della vita reale, pare voglia dimostrarci che tra risate, discorsi importanti e cene eleganti si nasconde la grande debolezza dell’uomo: se stesso.
Stefania Boschini
(www.excursus.org, anno VIII, n. 78, dicembre 2016)