di ROSSELLA FARNESE – Romanzo psicologico e introspettivo, Follia di Patrick McGrath (traduzione di Matteo Codignola, Adelphi, pp. 296, € 12,00) è la storia di un’ossessione sessuale borderline, cupa e tormentosa, che attraverso uno stile scorrevole e uno sguardo psicanalitico, esercita una singolare malìa sui lettori avviluppandoli nei vari stadi del dramma incapaci di comprendere sino al colpo di scena finale – o comunque sino alle ultime pagine ‒ che giustifica la scelta del titolo.
Narrato in prima persona da Peter Cleave, anziano psichiatra, collega e amico dei Raphael, ambientato in Inghilterra nel 1959 in un manicomio criminale vittoriano, Follia analizza in modo asettico e clinico, senza eccessi emotivi né giudizi morali, il desiderio sfrenato e disperato che travolge in una liaison dangereuse la volitiva e annoiata Stella Raphael, moglie del vicedirettore dell’ospedale psichiatrico, Max Raphael, e Edgar Stark, scultore uxoricida per gelosia ossessiva e paziente del manicomio,operaio in regime di semilibertà per buona condotta nella serra annessa alla residenza dei Raphael. Un amour passion violento, animalesco e distruttivo al punto che non si può definire e cui non si può però neanche fuggire: «Allora non si può definire? Non se ne può parlare? È una cosa che nasce, che non si può ignorare, che distrugge la vita delle persone. Ma non possiamo dire nient’altro. Esiste, e basta». Patrick McGrath
Affetta da una sorta di bovarismo, Stella, donna avvenente e colta, moglie insoddisfatta – analogamente ad Anna Karenina – a causa di un marito freddo e interamente dedito al lavoro, e madre di Charlie, vive giornate tediose e monotone, sotto i tipici cieli metallici del Nord, tra Londra e il Galles, nella gabbia del perbenismo e delle relazioni di convenienza, sperimentando il vuoto, un’assenza da colmare, una mancanza, sin quando nota la presenza di Edgar che da subito travolge i suoi sensi, risvegliando con il suo fascino ombroso la sua vitalità e sconvolgendo il suo precario equilibrio emotivo: un ballo, il desiderio – «l’aveva voluto perché lui voleva lei […] essermi innamorata, questo mi sembrava inebriante» ‒ e un vortice verso l’abisso, verso una spirale di male, verso l’ossessione.
La storia si snoda al contrario con distacco e professionalità – almeno apparentemente – e il lettore è avvinto dalla narrazione che procede a mo’ di annotazione dettagliata, calcolata e scrupolosa nel riportare parole e azioni efferate. Patrick McGrath
Impossibile d’altro canto restare indifferenti, non provare ansia, non avvertire un certo senso di soffocamento e di tensione narrativa: se il motore della vicenda è Edgar, è tuttavia, a mio avviso, Stella la vera protagonista delineata a tutto tondo verso cui il lettore prova sentimenti altalenanti di comprensione e repulsione, di rabbia e compassione. Delicata e dolce ma soprattutto debole in una vita che le sta ormai stretta, Stella vuole sentirsi viva, è capace di audacia e di slanci animaleschi, e, nell’abbandonarsi a un amore ossessivo per un uomo la cui follia dichiarata clinicamente viene invece negata da chi ha visto in lui la scintilla di una svolta, diventa vittima e carnefice di se stessa. Edgar è paranoico e morboso, affetto da crisi di rabbia, è l’artista ossessionato dalla sua arte, dall’idea di realizzare la scultura di una testa che vada oltre quello che i suoi occhi scorgono: «per fare arte bisogna voltare le spalle alla vita […] Per lui la relazione tra arte e salute mentale era tanto precisa quanto delicata: se la prima veniva disturbata la seconda ne avrebbe risentito finendo per andare in pezzi».
Un libro come un precipizio che, con uno stile da diagnosi psicanalitica, travolge il lettore in un viaggio nell’ossessione, in un turbinio di stati d’animo, di pensieri razionali e desideri latenti, quasi con effetto catartico. Patrick McGrath
Rossella Farnese
(www.excursus.org, anno XII, n. 94, maggio-luglio 2020)