di SILVIA GRANZIERO – Quanti hanno mai sentito nominare Alice Kyteler, giovane donna dalla morale discutibile e dai liberi costumi che per questo fu accusata di stregoneria? O Guendalina Malatesta, bimba albina e per questo fatta sparire in circostanze mai chiarite, per paura di ritorsioni del Tribunale dell’Inquisizione? Ben pochi, probabilmente. E questo perché siamo soliti pensare al Medioevo come ad un’epoca dominata dagli uomini, in tutti i campi: dalla politica alla religione, dall’economia alla cultura. La Storia ci ha infatti tramandato per lo più “i cavalier, l’armi e l’onore”, ossia le guerre, le imprese eroiche e le conquiste del potere maschile.
Tuttavia nemmeno gli storiografi hanno potuto tacere i nomi eccezionali di Giovanna d’Arco, la pulzella d’Orleans, Isabella di Castiglia, Anna Bolena… tutti nomi, però, segnati da un poco onorevole comun denominatore: la follia, la stranezza, la pazzia, oltre ovviamente ad essere affiancate e guidate da un uomo. Era davvero così?
Susanna Berti Franceschi, nel suo Di regine, di sante e di streghe. Storie di donne nel Medioevo (Elmi’s World, pp. 120, € 15,00), prova ad indagare una realtà più complessa di quanto i libri di storia spesso ci raccontano: quella di nobil donne e contadine, intelligenti, autonome e ispirate, che, con la loro condotta di vita non convenzionale, il loro spirito indipendente e le loro attività al di fuori degli schemi prefissati, spaventarono il predominio maschile mettendone in dubbio la legittimità e l’assolutezza, sottraendosi alle logiche della società patriarcale. Il contesto è dunque quel «gioco di composizione del potere sociale che vede le figure femminili partire sempre e comunque da posizioni di svantaggio e battersi per colmare l’handicap», scrive Pippo Russo nella Prefazione.
Un Medioevo in senso lato, quello raccontato dall’autrice, che trascende i limiti temporali tradizionalmente considerati i confini dei cosiddetti secoli bui: Susanna Berti Franceschi ci avverte di aver voluto inserire nel Medioevo anche vicende accadute dopo la sua fine e addirittura un episodio del XIX secolo, poiché avvenuto in un contesto culturale che difficilmente si potrebbe definire altrimenti che medievale, e mette in guardia anche dal giudizio univoco che considera quest’epoca storica un lungo periodo di guerre, carestie e pestilenze, quando si tratta invece di mille anni variegati, come sempre è la Storia.
Come sull’epoca, anche su molti personaggi abbiamo giudizi affrettati e spesso di comodo: per esempio, chi non ha un giudizio negativo su Maria Tudor, passata alla Storia come Maria la Sanguinaria? Certamente compì crimini, racconta l’autrice, ma spesso i libri di Storia tralasciano di raccontare la sua tragica vita e il contesto difficile nel quale si mosse.
Di provare a rimediare a queste lacune si assume il compito Di regine, di sante e di streghe, e nel farlo ci “illumina” su realtà poco note, quali l’istituzione del matrimonio nel Medioevo, l’incombere inquietante dell’Inquisizione, le comuni di beghine e begardi, le lamie, le curatrici e le ostetriche malviste dalla medicina ufficiale e dalla Chiesa…
In tale contesto complicato si inseriscono le vicende delle donne raccontate dall’autrice, che le dispone in tre sezioni – non nettamente separate, però, avverte, poiché spesso le tre categorie si intersecano tra loro –: le regine, o più propriamente le nobili e le borghesi che, per matrimonio o per titolo si ritrovarono ad occupare una posizione politica di rilievo e si resero in qualche modo scomode; le sante, o le mistiche ritenute portatrici di sensibilità e prerogative che all’epoca erano ritenute frutto del contatto diretto con il divino; e infine le streghe, spesso nient’altro che guaritrici autodidatte, quando addirittura non semplicemente donne che per la loro autonomia e i loro comportamenti anticonformisti, e spesso anche per la loro bellezza, andarono incontro a una tragica fine; le streghe sono «donne che esercitano un forte potere culturale, quello che riguarda il controllo del corpo», un potere inquietante per un’epoca che lo demandava interamente all’intervento di Dio o, tutt’al più, a uomini autorizzati dall’autorità alla professione di medici.
Nella forma di un agile saggio che si legge come un romanzo, dallo stile lineare e narrativo, si susseguono le biografie delle regine Ginevra di Camelot, Eleonora d’Aquitania, Giovanna di Castiglia, delle sante Margherita Porete, Ildegarda di Bingen, Sant’Orsola e delle streghe Benvegnuda, Bellezza Orsini e delle tante altre donne, più o meno note, che popolarono il Medioevo con la loro personalità e che meritano di uscire dal buio.
Berti Franceschi seleziona volutamente pochi nomi noti – scegliendo tra quelli su cui era impossibile tacere, e in alcuni casi, come per Morgana e Ginevra, cercando di districarsi tra realtà, leggenda e poesia, dovendo di far chiarezza su quel che più si avvicina al vero – preferendo presentare al lettore figure per lo più ignote. Proprio su queste l’autrice ha dovuto indagare nelle poco lette cronache locali e negli annali sparsi per l’Europa, portando a galla piccole e grandi storie, sempre più o meno tragiche, di grandi personaggi ingiustamente per lungo tempo dimenticati, vittime di una realtà oscurantista e ignorante che avevano, nel loro piccolo, provato a combattere. Donne, in fin dei conti, «che hanno seminato il mutamento sociale».
Silvia Granziero
L’autrice
Susanna Berti Franceschi è vicedirettrice della Fondazione Nazionale “Angiolo e Maria Teresa Berti”, di cui dirige il comitato scientifico e la ricerca storica. Tra le sue opere, con un interesse particolare rivolto alla storia di genere e al mondo femminile, ricordiamo i titoli:Storia di un processo inquisitorio. Gostanza da Libbiano (Elmi’s World, 2012), scritto con Gian Ugo Berti, e Storie di fate, di dee ed eroi (Elmi’s World, 2013). È inoltre presente sul web con alcuni blog di storia e di opinioni.
(www.excursus.org, anno VII, n. 67, febbraio 2015)