di MICHELA SALA – La mostra “Dai Visconti agli Sforza” è un tesoro di sorprese che merita una nuova e seria rivalutazione dell’arte lombarda tra Medioevo e Rinascimento. Questa non è un’affermazione dovuta alla visita di una grande esposizione che potrebbe colpire per il numero delle opere o la loro difficile reperibilità o ancora per un allestimento articolato e complesso – anche se tutto ciò è presente e da non sottovalutare – ma perché dimostra come Milano unita alla Lombardia in questi quasi trecento anni con modelli, linguaggi e innovazioni estetiche partecipi a quei movimenti che sfoceranno nella Rinascita.
Su questo tema molto interessante si erano già accesi i riflettori nel 1958 con una mostra, rimasta storica, ideata da Roberto Longhi e a questa fanno riferimento Serena Romano e Mauro Natale, i curatori odierni, per pubblicare le loro ricerche e riflessioni aggiornate.
Ora, anche in occasione dell’ormai prossima apertura dell’Expo, questa nuova rassegna riprende l’argomento, ma con strumenti diversi e con una ricchezza di particolari senza precedenti; ripercorre e mette in luce i periodi fondamentali dell’Arte lombarda al tempo delle Signorie, dal primo Trecento alla fine del Quattrocento, partendo dagli esordi della dinastia Visconti, attraversa gli anni di Gian Galeazzo(1351-1402) e quelli di Filippo Maria(1392-1447) per sfociare nell’età d’oro degli Sforza.
Sono fasi differenti, ma tutte associate a quello slancio internazionale che si ritrova sia negli orientamenti del governo cittadino che nelle corti europee più avanzate e che si rivelano con i linguaggi dell’arte dalla pittura alla scultura e alle arti applicate. Attraverso una serie di tappe disposte in ordine cronologico, si snoda il percorso che illustra la progressione degli avvenimenti. Pitture, sculture, oreficerie, miniature, manoscritti, vetrate costituiscono tutta quella serie di opere che esaudiscono la civiltà cortese e che conquistano la cifra dell’eccellenza in campo internazionale.
Dopo i ritratti dei committenti di entrambe le dinastie l’attenzione si posa sulla svolta operata dai Visconti facendo arrivare in Lombardia artisti come Giotto e Giovanni Balduccio che hanno vivificato l’intero interesse cittadino. Alle splendide vetrate provenienti dalla chiesa di Santa Maria Matris Domini di Bergamo sono affiancati manoscritti e Libri d’Ore che documentano la trasformazione del linguaggio figurativo lombardo austero e arcaico, innovato dagli artisti toscani. Una seconda tappa è quella che riguarda il grande cantiere del Duomo.
Per celebrare il momento fondamentale anche la “Fabbrica del Duomo” ha accolto la possibilità di smontare dalle guglie alcune statue ed altre vetrate altrimenti di difficile visione. Siamo negli anni attorno al 1400, Gian Galeazzo Visconti (1351-1402) è al governo e il tardo gotico è preminente a Milano come presso le corti di Parigi, Praga, Vienna, Budapest e nelle Fiandre. Sono in città Giovannino de’ Grassi e Michelino da Besozzo che oltre a partecipare alla costruzione religiosa lasciano dipinti, taccuini e manoscritti.
Di quest’ultimo è ammirabile la splendida tavola della Madonna del roseto. La Vergine è rappresentata in un hortus conclusus – giardino recintato – contornata da delicati angeli colorati alla presenza di Santa Caterina d’Alessandria raffigurata nel suo rango principesco. Maria, posta nella parte alta del dipinto, è posata sul prato fiorito avvolta in un mantello ricamato e ondeggiante mentre tiene in grembo il Bimbo che si succhia il dito. Il pergolato di rose, i due aggraziati pavoni, il fondo oro e la sinuosità della linea sottolineata dai colori brillanti, sono indice indiscutibile di quel gotico internazionale diffuso in Europa.
Tale straordinario momento creativo corrisponde anche all’apice del fasto della corte pavese che ospita Jean d’Arbois e Gentile da Fabriano. L’esposizione prosegue con pale d’altare, messali, miniature oltre a una serie di opere di alta oreficeria e i celebri Tarocchi di Bonifacio Bembo ricomposti per l’occasione. Nel capitolo successivo s’incontra la fine della dinastia dei Visconti e la presa di potere di Francesco Sforza (1401-1466) fino al periodo di governo di Galeazzo Maria (1444-1476) con lo spostamento della sede ducale da Pavia a Milano. Con le nuove maestranze arrivano anche le nuove tendenze che provocano mutamenti sociali e politici oltre che innovazioni in campo artistico. Il crepuscolo della dinastia dei Visconti non segna tuttavia un regresso delle arti durante il periodo sforzesco.
In particolare al tempo di Ludovico il Moro (1452-1508; quarto figlio maschio di Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti) sono state realizzate le opere di Foppa e Bergognone, capolavori che accompagnano la gioielleria e i ricami, usciti dalle raffinate botteghe artigianali che facevano di Milano il centro dell’Europa. Le ultime delle duecentocinquanta opere esposte sono dedicate agli anni di Ludovico e alla spaccatura provocata dalla sua caduta e dall’arrivo dei Francesi. Sono di questi anni i cambiamenti radicali nell’urbanistica e in architettura essendo presenti personalità come Bramante e Leonardo. La produzione artistica è indirizzata verso lo spirito d’emulazione e concorrenza nei confronti delle altre corti padane legate a quella sforzesca da stretti rapporti familiari oltre che economici e politici.
La mostra si chiude con dipinti che attestano il forte impatto avuto in Lombardia dalla forte personalità di Leonardo e Bramante che si ritrova in opere forse meno note al grande pubblico – Amadeo, Bramantino, Boltraffio, De Predis, Zenale e Luini – ma di indiscusso valore.
Michela Sala
Notizie utili
“Dai Visconti agli Sforza”
Milano, Palazzo Reale, piazza Duomo 12.
Fino al 28 giugno 2015.
Ingresso: € 12,00 intero; € 10,00 ridotto.
Orario: lunedì 14:30/19:30; martedì-mercoledì-venerdì-domenica 9:30/19:30; giovedì-sabato 9:30/22:30.
Informazioni e prenotazioni: tel +39 02 92800375; www.viscontisforza.it.
Immagine di apertura: Paroto, Madonna col bambino un donatore e Santi (Polittico di Cemmo), tempera su tavola, 1447).
Immagine in articolo: Bernardo Zenale, Circoncisione, olio su tavola, 116x89cm, 1520.
(www.excursus.org, anno VII, n. 69, aprile 2015)