di ALBERTO BONOMI – «Le parole conducono ai fatti […] Preparano l’anima, la rendono pronta e la portano alla tenerezza». Nel suo ultimo discorso pubblico, tenuto all’Università di Hartford, Raymond Carver cita per ben due volte queste parole di Santa Teresa (da non confondere con Madre Teresa di Calcutta), come se le affidasse la chiave della sua poetica. In effetti, i dodici racconti contenuti in Cattedrale (traduzione di Riccardo Duranti, minimum fax, pp. 230, € 11,50) appaiono illuminati da tale frase e sono accomunati dal fatto di suscitare in chi legge un forte sentimento di umanità. Insomma, hanno la capacità di preparare l’anima alla tenerezza.
Allo stesso tempo, vi è un’altra frase che Raymond Carver ripete spesso nelle sue opere, ripresa da uno dei suoi scrittori preferiti, il russo Isaak Babel’: «Non c’è ferro che possa trafiggere il cuore con più forza di un punto messo al posto giusto». Se teniamo insieme questo e la frase di Santa Teresa, cominciamo a farci un’idea di cosa parliamo quando parliamo dei racconti di Cattedrale.
I racconti carveriani non offrono certo atmosfere distese e solari; c’è sempre un velo minaccioso che circonda i loro personaggi e la tempesta sembra sempre dietro l’angolo. La cosa che li rende unici è proprio questo senso d’attesa che li pervade: qualcosa deve succedere, ma non siamo troppo sicuri di cosa si tratti né di quando succederà. E neanche i personaggi lo sanno. Essi, infatti, si delineano più per ciò che fanno, o dicono, che per ciò che sono, o pensano. Raymond Carver non ci fa sapere mai i loro pensieri, ma ci descrive minutamente le loro azioni.
«I sogni, be’, sono le cose da cui ci si risveglia», afferma un personaggio di uno degli scritti. In effetti, quasi tutti i racconti sono popolati da persone che hanno perso i loro sogni per strada. A volte sembra che abbiano ancora la forza di rimettersi a inseguirli; la maggior parte delle volte sentiamo che forse è già troppo tardi; altre volte, invece, lo sappiamo con certezza.
In questa raccolta troviamo storie segnate dall’alcool, come in Da dove sto chiamando, dove il protagonista è ricoverato in un centro di riabilitazione e occupato a fare i conti con la propria vita; o in Attento, in cui un marito vede aggravarsi la sua dipendenza in seguito alla separazione dalla moglie; oppure in La casa di Chef, dove un passato di alcolismo minaccia nuovamente un idillio amoroso durato appena un’estate.
Troviamo anche personaggi sentimentalmente confusi, preda di relazioni amorose e familiari irrisolte. È il caso di Scompartimento, dove Myers è in viaggio in Europa per raggiungere il figlio e cercare di riallacciare il rapporto bruscamente interrotto con lui anni prima; oppure di Febbre, in cui Carly viene abbandonato dalla moglie e deve occuparsi dei loro due figli, dopo che lei è fuggita in California per farsi una nuova vita.
Non mancano personaggi più positivi che, inizialmente sottostimati, fanno in realtà dono della loro umanità. Un caso è il pasticcere di Una cosa piccola ma buona, che saprà lenire il dolore di due genitori per una perdita improvvisa; o Robert, il cieco di Cattedrale (che dà il titolo alla raccolta), che sarà in grado di far vedere al protagonista il mondo da un punto di vista completamente nuovo per lui.
In generale, però, in ogni racconto c’è qualcosa che a un certo momento accade e che ricompensa il lettore dell’attesa. Pare qualcosa di unico e irripetibile. Si tratta, tuttavia, di piccole cose, che fanno parte della quotidianità – la rottura di un frigo in Conservazione, un oggetto dimenticato (o lasciato apposta?) in La briglia, una cena fra amici in Penne, un documentario che passa in tv in Cattedrale, l’incontro col pasticcere in Una cosa piccola ma buona –, che però sembrano segnare un punto di non ritorno per i protagonisti.
In tutti questi racconti vi sono tali momenti rivelatori, in cui al protagonista e al lettore viene restituita una verità. Uno dei fili che li attraversa e li lega insieme è appunto la quotidianità: Raymond Carver sembra volerci dire che si può fare poesia anche con gli oggetti più umili, quelli che circondano la vita di tutti i giorni. Un altro è la tenerezza, che nasce spontanea in chi legge, verso questi personaggi alla deriva che sentiamo far parte dello stesso mondo di cui facciamo parte noi.
La scrittura di Raymond Carver, scarna, dura, conta più per quello che toglie che per quello che dice. Non dà spazio a nessuna prolissità, o digressione; è lavorata a fondo, al limite della perfezione. Elimina ciò che non è strettamente necessario alla trama e mira direttamente all’essenziale. Il racconto scorre liscio e sottile come la corrente di un fiume, ma ogni parola, ogni virgola, ogni punto ha un peso, una ragione per essere lì e non altrove.
E a volte trafigge il cuore.
Dopo aver letto una di queste storie si avrebbe voglia di fermarsi un momento, magari di chiudere anche gli occhi, come il protagonista di Cattedrale. E di continuare a tenerli così ancora per un po’, assaporando la sensazione che lascia.
«“Allora?”, ha chiesto. “La stai guardando?”
Tenevo gli occhi ancora chiusi. Ero a casa mia. Lo sapevo. Ma avevo come la sensazione di non stare dentro a niente.
“È proprio fantastica”, ho detto».
Alberto Bonomi
L’immagine di apertura è tratta dal blog minima et moralia.
(www.excursus.org, anno IX, n. 82, aprile 2017)