di MARIA CHIARA DAL CERO – Si sentono spesso gli anziani dire: «Oggi c’è brutto tempo, ho dolori dappertutto, se ci fosse bel tempo sarei anche moralmente felice!», trovando una congiunzione non facilmente visibile tra il meteo e la sensazione fisica di stare bene o male, a seconda dei casi.
Come se il tempo, personificato, intervenisse a regolare il metabolismo fisico e l’umore del giorno in ciascuna persona che, quindi, si definisce meteoropatica.
Alcuni forse pensano che tutto ciò sia frutto di antiche credenze, più vicine alla superstizione che alla realtà dei fatti. Ma proprio tale argomento viene curiosamente analizzato dall’antropologo Alain Corbin in Breve storia della pioggia. Dalle invocazioni religiose alle previsioni meteo (traduzione di Valeria Riguzzi, Edizioni Dehoniane Bologna, pp. 64, € 9,00).
Partendo dalla storia del clima da epoche remote, l’autore cerca di indagare come i cambiamenti climatici hanno influito sull’uomo nel corso del tempo. Attraverso uno stile lineare, anche se a volte molto carico di citazioni e riferimenti ad altre opere, Alain individua nella storia alcuni episodi interessanti che hanno come punto centrale il tempo, con specifica attenzione al fenomeno della pioggia.
Nel primo capitolo si analizza il Settecento, in particolare dallo sguardo che ne fornisce un’opera di Bernardin de Saint-Pierre, Studi sulla natura, in cui si indaga il maltempo come fonte di piacere e come generatore di malinconia. In queste pagine la pioggia viene analizzata anche nella rifrazione che essa fa della luce, con attenzione alla natura, «alle foglie, al muschio e […] all’erba».
In seguito una serie di autori europei di letteratura e filosofia vengono citati in base al loro amore o disprezzo per la pioggia e il maltempo, a testimonianza del fatto che il clima ha sempre avuto riflessi nell’animo umano, riflessi che variano da persona a persona in base alla propria soggettività.
Si passa così al secondo e al terzo capitolo che, in parte, riprendono i temi del precedente fondandoli, però, su citazioni più approfondite di autori e poeti, tra tutti Walt Whitman con la celebre The voice of the rain.
Nel quarto capitolo, dal titolo Il Diluvio e l’umore, invece, si sottolinea quello che diventerà un topos letterario dal Seicento in poi, ovvero «il collegamento istituito tra la pioggia e le lacrime», come si legge nelle lettere della marchesa di Sévigné. E anche Leonardo da Vinci affronta l’argomento, poiché nei suoi Diari fece una descrizione del diluvio universale di tradizione biblica, un archetipo comune a molte culture indoeuropee (e non solo).
Se da una parte la pioggia può essere anche un fatto divertente (uscire in coppia ed essere all’improvviso inondati da un forte acquazzone era per la marchesa di Sévigné motivo di risate e allegria), dall’altra molti autori la collegano invece al colore grigio, come accade nel genere dello Spleen. L’abilità di Alain Corbin è di unire a considerazioni letterarie anche l’analisi e il supporto dell’arte. Nel caso proprio del rapporto tra maltempo e colore abbina al testo il noto quadro di Gustave Cailbotte, Rue de Paris, temps de pluie (1877), dove il colore dominante è di certo il grigio, riflesso sugli edifici e sulle persone che camminano, ma dove significativamente la pioggia non è dipinta, ma fatta intuire proprio grazie a queste tinte malinconiche.
Gli ultimi capitoli si concentrano sul rapporto tra maltempo e politica. Molto curioso l’episodio del 12 giugno 1831 che vede come protagonista il re Luigi Filippo. Per trovare consensi tra il popolo “minuto”, getta il suo mantello ed esce all’aperto, noncurante della pioggia, lasciandosi inzuppare, creando una condizione comune tra lui, il re, e il suo popolo.
L’espediente della pioggia viene utilizzato, in questo caso, come motivo politico, in un’azione che diventa iperbole e che, a nostro parere, sottolinea ancora di più lo stacco sociale tra il re e il popolo, che non aveva la scelta tra il potersi riparare o no.
Infine un breve capitolo analizza, con ricchezza di fonti novecentesche, i danni e i disagi della pioggia in guerra e in trincea. Pioggia che genera fango e oscurità, contrapposta alla neve che rende il paesaggio più dolce e riflette il biancore durante la notte.
Da qui si arriva facilmente anche agli antipodi Siccità e grandine, in cui Alain Corbin analizza invece il rapporto tra meteo e santi che, se venerati nel modo corretto secondo la tradizione popolare, potevano intercedere per gli uomini.
Riteniamo che questo libro, senza la pretesa di una scrittura complessa e troppo impegnata, individui un panorama curioso su un tema ancora poco indagato, non solo attraverso utili citazioni, ma anche con il supporto di opere artistiche riprodotte a colori. Si legge in un soffio, in un viaggio in treno, al bar nel tempo di far raffreddare una tazza di tè, ma ha l’indiscusso pregio di “rimanere”, di essere ricordato per i suoi riferimenti così poco scontati e noti, con il solo difetto forse di non essere sempre completo.
Alain Corbin, con il carattere indagatore tipico degli antropologi, evidenzia piccoli dettagli che fanno però la differenza in un saggio veloce, molto “digeribile” e sicuramente curioso.
Maria Chiara Dal Cero
(www.excursus.org, anno IX, n. 82, aprile 2017)