di GIORGIA LEGATO – «Siamo i frutti di questa terra e in questa terra rimarremo. Cresciamo al modo delle zucche e quando è ora ci trovi al mondo come sui banchi del mercato, e siamo in offerta, e costiamo poco. In tanti sui banchi del mercato nemmeno ci finiamo: ci lasciano ai merli senza la fatica della raccolta» (p. 20).
Nel mercato della vita ognuno di noi viene scelto da qualcun altro per contemplare insieme la deriva del mondo che sprofonda. La solitudine del singolo diventa la solitudine di due individui. Sono due destini che si incrociano e che, per un certo tratto, condividono la strada.
Di questo ci parla Blues delle zucche di Sebastiano Gatto (Amos Edizioni, pp. 106, € 10,00), un breve romanzo, singolare ed emotivamente incisivo, che si sviluppa secondo una serie di incontri (reali o immaginari) tra due giovani.
Ben poco sappiamo di questi due protagonisti, di uno dei due non sapremo nemmeno il nome di battesimo. Sono entrambi giovani, uno poco più dell’altro, compiono scelte di vita totalmente differenti, ma proprio questa loro diversità li porterà ad essere simili nella loro solitudine.
I punti di vista del romanzo sono due: il primo è quello di Alex, il ragazzo più giovane, il secondo è quello della madre dell’altro giovane.
L’intero romanzo ci offre scorci di vita piuttosto differenti a seconda del punto di vista adottato in quella determinata parte di libro. Nulla però viene mai approfondito, intravediamo situazioni che contraddistinguono la vita di ognuno di noi nelle diverse fasi della nostra vita, ma non si scende mai nel dettaglio. Quasi come se l’autore volesse darci un assaggio di ciò che lungo il percorso dei nostri anni incontreremo, ma appunto perché ognuno di noi ne ha coscienza grazie alle proprie esperienze non è necessario dilungarsi in approfondimenti.
Incontriamo in questo modo i problemi dell’adolescenza, l’amore non corrisposto per una compagna di scuola, le prime esperienze lavorative, la droga, e in qualche modo anche il disagio tipico di quell’età e la necessità di farsi accettare dal “gruppo”.
Dall’altra parte assistiamo ai problemi di una madre di tre figli che deve mandare avanti la casa e pensare contemporaneamente a tutta la sua prole. Senza distinzione.
La figura della madre che Gatto ci propone è piuttosto interessante: è discreta, capiamo che soffre, ma non lo fa in maniera eclatante, il suo dolore è sommesso, le sue preoccupazioni rimangono dentro ai suoi pensieri senza mai fuoriuscire dalla sua bocca.
Il vero filo conduttore di questo romanzo è il ragazzo di cui non conosceremo il nome. Di lui sappiamo poco: ha lasciato gli studi, indossa gli anfibi, non si separa mai dal proprio gilet di pelle nera ed è affetto da una rara malattia: l’emofilia che consiste nella tendenza a sanguinare a causa della mancata capacità di coagulazione del sangue stesso. Veniamo a conoscenza di questa sua malattia attraverso il racconto della madre:
«Come fargli comprendere che a calcio non si può giocare, che la bicicletta è pericolosa, che le ginocchia non bisogna sbucciarsele, che le forbici e i coltelli sono il male. Non può fare come i genitori di Rosaspina che bandirono dal regno i fusi degli arcolai: in questo mondo, tutto è fuso, tutto è arcolaio. […] Come fargli intendere quell’unico comandamento, più importante di tutti i comandamenti di Mosè? Come insegnarglielo, metterglielo in testa?
Basterà l’amore a farti capire, incorporare, che NON DEVI FARTI MALE?» (pp. 51-52).
Ogni caduta, incidente per quanto di minima entità possono rappresentare per il ragazzo un pericolo di morte.
Nulla sappiamo della sua infanzia perché il romanzo compie un salto temporale e dal momento della diagnosi in tenera età ci porta direttamente a quando il giovane ha già più o meno una ventina d’anni. È proprio in questo momento che il nostro protagonista conoscerà Alex, durante una festa nella quale ambedue si sentono a disagio. Proprio a causa di ciò decideranno di andarsene insieme e sarà a quel punto che faremo il primo incontro con la droga: una canna spartita tra i due, alcune parole scambiate rappresentano il primo momento di condivisione da “adulto” per Alex.
Da questo punto in poi ci saranno una serie di incontri fortuiti tra i due ragazzi, i primi fortemente desiderati da Alex, i successivi progressivamente sempre meno voluti ed apprezzati. Tra i due inizia a marcarsi infatti una certa diversità, il mistero che il ragazzo senza nome rivestiva per Alex inizia a dissolversi per lasciare il posto alla consapevolezza della diversità che li contraddistingue:
«Hai cercato, specchiandoti in me di ritrovare ciò che hai perso, hai cercato che ti restituisse il biglietto per il mondo dei grandi, il tuo, lo stesso che troppo presto hai perduto. Ma poi devi esserti accorto che non funzionava, che terreno per un dialogo non c’era, che la mia vita non può essere la tua» (p. 78).
Il ragazzo misterioso porta le camice a manica lunga anche a luglio, assicurandosi di tener ben chiusi i polsini. Lui, l’emofiliaco, colui per il quale gli aghi non dovrebbero nemmeno esistere è un tossicodipendente. Davanti a questo dramma, che lui stesso confessa alla madre in cerca di un aiuto per uscirne, vediamo tutto il dolore di lei che oltre a scoprire il fatto che il figlio è un drogato, scopre anche che tutto ciò che gli ha sempre raccomandato in realtà ha sortito l’effetto contrario:
«Suo figlio è un bambino, e quando a un bambino dici di non fare una cosa, eccolo che l’ha già fatta. NON DEVI FARTI MALE, gli diceva sempre. NON DEVI FARTI MALE» (p. 69).
Non si può darle torto, quando si proibisce ad un bambino di fare qualcosa è proprio a quel punto che la cosa stessa diventa interessante.
Anche Alex scopre del problema del ragazzo e attraverso questa scoperta diventerà ancora più conscio della loro lontananza.
Il destino però si sa, a volte, è beffardo e ciò che sembra scontato non sempre accade. Possono insinuarsi altre circostanze, altri eventi che possono cambiare le carte in tavola.
Ma quali saranno i destini di questi due ragazzi? Continueranno ad incrociarsi o saranno divisi per sempre?
Un finale inaspettato, o meglio, non scontato, per un libro davvero particolare e fuori dal comune.
Giorgia Legato
(www.excursus.org, anno VIII, n. 76, ottobre 2016)