di GAETANINA SICARI RUFFO – I tempi, d’accordo, sono di crisi, ma non muta l’abitudine di maledire il Sud per i suoi mali endemici, manco a dirlo, raddoppiati rispetto al passato. A denunziarli sono romanzi, saggi ed anche una certa filmografia che predilige le tinte forti di una umanità in regressione. Ma è davvero così? Diciamo che quel che appare mutato non è certo il quadro dei misfatti puntualmente riferito dai cronisti – quasi per dire che non è opera di fantasia quel che succede ma documento di vita quotidiana – quanto piuttosto l’atmosfera che si viene a concretizzare di un regno del male che si sarebbe insediato in quella parte d’Italia, come quintessenza della sempre più diffusa consapevolezza che i tempi della memoria felice sono definitivamente tramontati: insomma, il ritratto dell’intera nazione lì tocca spudoratamente il fondo. anime nere
Quella terra è stata da tempo violata ed ora è feudo della società disonorata che vanta un’imperturbabile stabilità; quante volte si sente ripetere questa affermazione in barba alla lotta dell’antimafia, che pure esiste ed è evidente negli arresti, nei processi e nelle condanne che sono all’ordine del giorno. Perché, ci chiediamo, non si riesce a spuntarla e a ridare un volto pulito ad un territorio che prima era definito un paradiso terrestre? La risposta potrebbero fornirla un film ed un saggio?
Forse sì, se tra le righe si fa strada una verità e cioè che le infiltrazioni malefiche sono parte di un tessuto che come un cancro si è radicato nelle membra sane, alterandone la struttura. Non è solo questione economica, ma intrinsecamente umana, di rivalsa, di ritorsione, di confronto violento e spregiudicato che, in una realtà depressa, ha il sapore di una sfida contro uno Stato che ha perso colpi e che non avrebbe solo dovuto punire. Qui c’è di più: i fratelli combattono contro i fratelli.
Lo fanno pensare il film del regista Francesco Munzi Anime nere, presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e tratto dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco edito nel 2008 da Rubbettino (pp. 210, € 14,00), ed il saggio del giornalista Gianfrancesco Turano Contrada Armacà, pubblicato recentemente da Chiarelettere (pp. 320, € 16,90). Immagini contro parole ma entrambe di un’evidenza così lacerante che sconcerta, rappresentazione di un sostrato di crimini che non si possono solo denunziare, in quanto hanno alla loro radice una relazione ben diversa da quella che superficialmente appare.
Spieghiamo meglio: il male non predomina in senso assoluto, ma è talmente mischiato alle ragioni di un bene relativo che fa venire in mente la parabola evangelica del loglio e del frumento. Lì, il consiglio è di far crescere insieme le piante fino al tempo della mietitura, quando saranno separate definitivamente. Ma bisognerà aspettare l’Apocalisse? I tentativi fatti finora per sradicare la mala pianta sembrano destinati all’insuccesso: troppo sangue innocente sparso dietro la sua sigla, troppo danno inferto alle popolazioni dietro le sue ramificazioni.
Il giornalista Turano, inviato speciale de l’Espresso, nel suo ultimo Contrada Armacà non ha semplicemente scritto la trama d’un romanzo giallo, ma ha travestito da romanzo quella che è una realtà lampante, vera, tanto che chi l’ha effettivamente vissuta, nel corso degli anni e dei mesi, stenta a farsene una ragione ed a riconoscerla come tale; ciò a causa delle mille implicazioni che si sono collegate tra loro creando una rete complessa in cui i buoni sono compromessi alla stessa maniera dei cattivi e nessuno si salva, neppure quelli che credono d’essere puri esecutori esemplari dello Stato. Ma lo credono o si illudono d’esserlo?
Il fatto è che il discrimine tra bene e male è così sottile e trasparente da divenire quasi inesistente: si è di fronte ad un disagio sociale di tali dimensioni che non bastano le coordinate consuete della cronistoria per identificarlo e sanarlo. Temiamo che all’epoca della mietitura si dovrà dare fuoco a tutta la piantagione. Il fronte del fuoco potrà però estendersi anche ad altre parti che non risultano essere poi così virtuose.
Gaetanina Sicari Ruffo anime nere
(www.excursus.org, anno VI, n. 64, novembre 2014) anime nere