di GIORGIA LEGATO – «Io? / Tu. / Non son pronto. / Nessuno lo è. In verità? / In verità ho paura. / Tanto ormai è successo. / E quando? / Adesso».
Adesso, quel momento in cui accade ciò che non avevi previsto, ma che anche se non lo ammetterai mai, è ciò che avevi tanto voluto. Lo aspettavi da una vita quel momento, quell’occasione con «due braccia, due gambe, un’infanzia, un lavoro che sognava di fare e che poi avrebbe fatto, un lavoro che non sognava di fare e che già faceva, aveva dei denti, una risata strana, un problema di stitichezza, un gatto». Poi succede che quell’occasione non è più l’Occasione e allora tutto cambia.
Adesso, il nuovo libro di Chiara Gamberale (Feltrinelli, pp. 216, € 16,00), ci racconta le nostre emozioni in modo sapiente, a volte misurato a volte impetuoso, con un’analisi puntuale di quella pallina sotto le costole all’inizio della pancia che tutti noi abbiamo sentito almeno una volta nella vita.
La tematica dell’amore affrontata dalla scrittrice risulta brillante: possiamo riconoscerci nelle sue pagine e nelle parole adeguatissime per descrivere sensazioni così indescrivibili.
Rincontriamo una coppia da lei creata qualche anno fa per un altro romanzo: Livia e Lorenzo. Ne Le luci nelle case degli altri (Mondadori) li avevamo lasciati sposati e con la custodia temporanea di una bambina. Oggi li ritroviamo divorziati, ma ancora uniti da un incredibile quanto incomprensibile legame.
Le loro spigolosità si sono esasperate a causa del trascorrere del tempo: Livia continua a fuggire da ogni possibilità di legarsi a qualcuno e vaga nel mondo cercando una pace effimera che difficilmente può raggiungere. Interessata esclusivamente alla conquista, nel momento in cui ottiene la sua preda, cade vittima di attacchi di panico causati dal terrore di una relazione. E allora si sposta, si confronta con “quelli dell’Arca senza Noè”, i suoi amici disperati quasi quanto lei, e alla fine si lascia travolgere da quell’uragano emozionale che la contraddistingue sin dalla nascita.
Lorenzo, specularmente a lei, si ritrova in una immobilità quasi patologica, osserva il mondo con aristocratico distacco perché per lui nulla è davvero importante (a parte Lidia, forse) e niente è rimedio né soluzione. Osserva la vita annebbiato dal fumo della sua erba con cui cerca disperatamente quanto inutilmente di offuscare anche la sua instabilità. Totalmente rapito da sé e dai suoi drammi interiori non riesce a rendersi conto che è lui stesso la causa della sua immensa drammaticità.
Nel romanzo assistiamo anche marginalmente alle vite di altre anime, alle loro piccole (o grandi) tragedie relazionali, alle occasioni sbagliate, a tutti i voglio ma non posso e potrei ma non vorrei che gli esseri umani si raccontano ogni giorno. E ci sentiamo inevitabilmente a loro solidali, perché conosciamo bene quello che provano e capiamo che certe sensazioni, viste dall’esterno, sembrano talmente facili da risolvere che siamo obbligati a riflettere su quanto in questo stia la drammatica comicità della vita.
Le parole della Gamberale sono delle immagini sonore che fanno vibrare le nostre corde più interne. Ci racconta le nostre paure, ma soprattutto ci fa sorridere di loro, quasi a farci capire quanto siamo inutilmente complicati o meglio quanto noi stessi siamo la causa della nostra complicatezza.
Quello che questa volta ci propone è un viaggio dentro noi stessi, alla scoperta dei meandri più nascosti della nostra “frangibilità” e alla ricerca di una meta (o di una metà) che potrebbe salvarci da noi stessi.
«Fra l’infanzia e il troppo tardi, fra la traversata di un’Arca Senza Noè e il rischio di un naufragio, c’è un momento. Non è prima di una vecchiaia dolce e non è dopo un’infanzia tremenda, non è prima di niente e dopo niente, è solo adesso, dopo il dolore, prima del dolore, finalmente è adesso, un momento in cui rimanere mentre c’è, senza fuggire, perché è una fuga in sé, senza sperare, perché è in sé una speranza, io? tu, no no, sì sì, non sono pronto, nessuno lo è.
Voleva diventare un periodo: ma un periodo a forma di momento.
Ce l’ha fatta.
E poi?
Poi vuole diventare quella cosa lì.
Una vita».
Questo è quello che cercano affannosamente di fare le creature di Adesso: la possibilità di lasciare che un momento diventi un periodo. Ma tanto sembra facile a dirsi quanto complicato si rivela a farsi. E allora i personaggi corrono vorticosamente, incrociando talvolta le loro storie, cercando non solo se stessi, ma anche una persona a cui affidarsi e da prendere a loro volta in affidamento. Si interrogano, riflettono, gioiscono e soffrono per questo viaggio chiamato vita. Provano cosa significhi la rottura delle proprie certezze: proprio nel momento in cui sono sicuri che a loro non capiterà più l’Occasione, che il loro viaggio avrà un solo posto a sedere, ecco che qualcosa cambia.
E allora arriva Pietro. Padre di una bambina, divorziato dalla moglie Betti a causa della scoperta vocazione verso Dio di quest’ultima, si ritrova a fare i conti con la sua nuova vita da padre single e con una causa di affidamento contesa con la sua ex moglie suora.
Livia e Pietro si incontrano grazie al lavoro di lei e insieme a loro si incrociano anche le paure di entrambi. Paure che li bloccano nel momento in cui dovrebbero dire una parola in più e spogliarsi dei reciproci blocchi spirituali che li costringono a fare scelte sbagliate. Ma dopo tanto tempo entrambi sentono, finalmente, la pallina nella pancia, conficcata proprio sotto le costole. Prendersi cura di questo fragile oggetto non è semplice: si tratta di capirsi, di accettarsi, di abbandonarsi. La pallina va coccolata e custodita e nessun essere umano può mai dirsi pronto a farlo. Nessuno lo è mai realmente. Perché sostanzialmente non bisogna essere pronti, bisogna solo accettare che succeda e lasciare che sia. È un rischio che si deve decidere se correre oppure no.
Rischiare di essere felici o rimanere nella propria confortante infelicità?
Emozionante, drammaticamente realistico, tracotante di umanità. Assolutamente da leggere.
Giorgia Legato
(www.excursus.org, anno VIII, n. 78, dicembre 2016)