di MARTA CASTAGNARO – Italia prossima ventura. La seconda Repubblica è scossa da moti rivoluzionari – che riecheggiano da vicino quelli storici ottocenteschi – e viene disgregata, per l’ennesima volta, in tanti staterelli. Al nord, «dalle Alpi fino al Po», dominano incontrastati i signori di Milano; eppure resiste autonoma una piccolissima cittadella, sorta dalla rivoluzione di un gruppo di uomini molto particolari.
Era questo «un caso imbarazzante, strampalato, unico nel suo genere. Si sentivano strani racconti, al di fuori dei suoi confini, storie incredibili, di handicappati al potere, di carrozzine obbligatorie, di scale abolite ovunque». In questa contea, sorta nella “Bassa Padania” e dai tratti arcaici e allo stesso tempo attuali, infatti, la lotta non è per l’indipendenza contro un potere statale assoluto (come nel Medioevo), né contro gli immigrati extracomunitari (come ai giorni nostri): sono i «camminanti»i veri nemici da combattere e tenere lontani. Oppure da «riabilitare»…
La contea dei ruotanti – anche nome dello strano staterello – è l’opera prima, oggi alla sua seconda edizione (Prefazione di Lella Costa, Il Prato, pp. 142, € 10,00), di Franco Bomprezzi (Firenze 1952-Padova 2014), autore singolare quanto la sua creazione. Giornalista professionista, scrittore e blogger, Bomprezzi è per molti anni caposervizio presso Il Mattino di Padova e collabora con Il Resto del Carlino, ma la sua vera vocazione è occuparsi, con gli scritti e con i fatti, delle difficoltà delle persone disabili di varia natura: è infatti direttore responsabile di testate relative alla disabilità (tra le quali il periodico dell’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare e la rivista Mobilità), fonda il portale tematico Superando.it e interviene in numerosi programmi radiofonici e televisivi, ma è anche responsabile per anni della comunicazione sociale per il Comitato Telethon Fondazione Onlus e portavoce di Ledha (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità).
Franco stesso, infatti, è affetto sin dalla nascita da osteogenesi imperfetta, una malattia genetica che causa malformazioni a livello scheletrico, articolatorio ed epidermico, che lo porta a vivere e lavorare su una sedia a rotelle, sua fedele compagna. Ma l’handicap non riesce a limitarlo: gli dà anzi la forza di lottare per chi si trova in condizioni simili alla sua, con un impegno umano e civico che gli vale nel 2007 la nomina a cavaliere da parte del Presidente della Repubblica Napolitano.
Ne La contea dei ruotanti Bomprezzi dà voce al mondo del diverso, del disabile, e crea un piccolo stato immaginario, «una contea piccolissima, pochi ettari di territorio, ma inaccessibile e inattaccabile», in cui tutto è«senza alcuna barriera, senza alcun gradino»: strade lisce come biliardi, senza marciapiedi, porte scorrevoli, pavimenti antisdrucciolo, pianali-sollevatori per accedere agli autobus, materassi ortopedici, ampi ascensori «dalle grandi porte e la frizione autoregistrante che non crea mai dislivello ai piani», soffitti non più alti di un metro e mezzo; tutto ad altezza di carrozzina.
Perché, infatti, la carrozzina è l’unico mezzo permesso per muoversi e spostarsi all’interno della Contea della Sacra Ruota, dove «era severamente proibito camminare»: nessuno può oltrepassare la grande cinta muraria che protegge la città («con un fossato, come nel medioevo, colmo d’acqua») camminando, tranne alcuni non vedenti, «gli unici autorizzati a usare le gambe e a vivere in certe vecchie case dai soffitti alti, nella periferia estrema della Contea, perché tanto la natura aveva già inferto loro un colpo almeno pari a quello toccato in sorte a paraplegici e distrofici».
Tutto questo è reso possibile dalla rivoluzione di Handicap Power, «il glorioso movimento di liberazione degli handicappati» guidato dal valoroso condottiero, ora a capo della città, Giovanni dalle Ruote Nere, la cui parola d’ordine è «potere agli handicappati per una giustizia dal basso». È in nome di questa giustizia che Paolo, guardia di confine dei Signori di Milano, introdottosi nella cittadella e fatto prigioniero, «era diventato il primo normodotato da riabilitare secondo le leggi magnifiche della Contea della Sacra Ruota. Era, insomma, un esperimento scientifico. D’importanza strategica per il regime».
La riabilitazione consiste – ovviamente – nell’imparare a vivere in carrozzina, come gli altri abitanti disabili, senza più alzarsi sulle proprie gambe. Perché, come sostiene Emile Cioran nella citazione che apre il romanzo: «Ciò che ci auguriamo nelle nostre sventure è che gli altri siano infelici come noi: non di più, soltanto come noi».
Proprio quando la situazione sta lentamente scivolando nel paradosso, nella farsa grottesca e quasi inumana, si rivela il senso vero di questo regime dei «ruotanti»; un regime che si rivela spaventosamente dittatoriale e “razzista” (nei confronti di chi le ruote non le ha), ma che eppure ricorda così chiaramente alcuni tratti della società contemporanea da lasciare perplessi, con episodi quasi “profetici”e per nulla distanti dalla realtà odierna: «la cacciata degli immigrati extracomunitari e la fuga dei meridionali avevano improvvisamente provocato una carenza di manodopera nei settori produttivi essenziali. E fu così che i primi veri tagli colpirono la spesa sociale. Gli anziani e gli handicappati, già guardati con sospetto e tollerati con sopportazione, vennero considerati come pesi morti, un puro costo, non compatibile con le dissanguate finanze dello Stato».
Bomprezzi, esasperando i tratti di questa mirabolante Contea e dei suoi “guerrieri”, riesce nel suo duplice intento: ci dà testimonianza, attraverso gli occhi e l’esperienza di Paolo, camminante riabilitato che veste i panni di chi sulla carrozzina è costretto, di quale siano le vere difficoltà che i disabili devono affrontare quotidianamente, fin dai più semplici gesti, come l’apparecchiare la tavola, e come ancora oggi vi siano tanti ed insensati pregiudizi su di loro, e al riguardo un’ottusa e stereotipata la visione.
D’altra parte – ed è forse questo il significato più profondo – l’autore ci presenta concretamente, ponendocela sotto gli occhi attraverso le scene di un mondo così assurdo da sembrare reale, la degenerazione di qualsiasi causa, di qualsiasi battaglia che non riesca a comprendere la visione dell’altro e che si chiuda ciecamente e ottusamente in se stessa; perché tutto ciò che diventa estremo e assoluto, alla fine, diventa negazione dell’ideale per il quale si combatteva.
Ecco allora che la ricerca di libertà e di uguaglianza dei ruotanti, una volta raggiunta e imposta rigidamente nella Contea, si trasforma in nuova oppressione a danno dei “diversi”, non-ruotanti, per il semplice fatto di essere “sani”: i soffitti alti appena un metro e mezzo si trasformano in prigioni che impediscono di muoversi se non seduti in carrozzina, una «ronda carrozzata» sta a guardia delle mura che separano la città dal resto del mondo, i camminanti devono essere riabilitati, ovvero “trasformati” in disabili, il figlio senza malformazioni genetiche di una coppia di paraplegici deve essere fatto nascere «almeno con la spina bifida, perché […] il regime non consente a nessuno di stare in piedi».
Come insegna Bomprezzi con questa sua opera schietta e diretta, senza giri di parole, senza addolcimenti, cinismo o forme di vittimismo, «il mondo non è tutto bianco o tutto nero. Ci sono tante sfumature. E se aggredite in questo modo tutti quelli che non sono come voi, li allontanate irrimediabilmente». Ed è sempre l’amore, quello vero, fisico, che appartiene anche al mondo della disabilità, che ci apre gli occhi e ci mostra la strada da percorrere. Anche sulle ruote.
Marta Castagnaro
(www.excursus.org, anno VII, n. 71, luglio-agosto 2015)