di VERONICA BERGAMELLI – «Stretta la soglia, larga la via, dite la vostra che ho detto la mia». Non esiste formula fiabesca migliore per introdurre un’arte antica come il mondo: cucinare gli avanzi. In questo campo ognuno può dare spazio alla propria creatività e inventiva, per sperimentare piatti nuovi e gustosi con ciò che gli è rimasto in dispensa.
Nei tempi odierni il saper trasformare uno “scarto”in una prelibatezza senza gravare sul bilancio famigliare è diventato una necessità sia a causa della crisi economica, sia per «salvaguardare i frutti che la natura, coadiuvata dal lavoro dell’uomo, ci concede in abbondanza […]. Cotto o crudo, ogni alimento ha un proprio tempo di vita e finché sarà buono da mangiare va utilizzato». Si tratta di una vera e propria pratica culturale che si tramanda da secoli, di generazione in generazione. Infatti, le nostre nonne «ci mettevano il cuore, la pazienza, l’abilità manuale quando erano chiamate ad assolvere il compito di cuoche […]. Parsimonia, amore e fantasia si fondevano nella loro mente così che dal forno a pietra e da padelle e pentole uscivano pietanze invitanti, cucinate con sperimentali incroci di cibi avanzati e nuovi intrecci di condimenti» in grado di soddisfare il palato di tutti… anche quello del commensale più esigente.
Allora, quale idea migliore se non quella di rispolverare le ricette, i ricordi, i segreti culinari della nostra tradizione, per divertirci a creare qualcosa di gustoso, evitando inutili sprechi di cibo? Questa è proprio la sfida che lancia il volume Pane Avanzi e Fantasia. Cento modi di cucinare gli avanzi (Pungitopo Editrice, pp. 142, € 12,00) dove Maria Grazia Calabrese Scivoletto descrive le memorie gastronomiche della propria famiglia e della sua città.
Un ingrediente fondamentale che ripercorre le sue ricette è il pane che «non si butta mai, è grazia di Dio». Ed essendo modicana d’origine lo troviamo o come pan’i casa o come muddica. Entrambi risultano essenziali sia per l’alimentazione dell’uomo, che per la riuscita di piatti al forno, come, per esempio, le melanzane ripiene, i carciofi imbottiti, o il “pancotto”.
Che dire poi del famoso strattu, che come un filo rosso condisce tutte le ricette rendendole saporite come i sogni da Mille e una notte? Esso ha sia la capacità di arricchire che quella di caratterizzare pienamente il portato culinario dei modicani. Infatti, se da un lato, il tradizionale concentrato di pomodoro siciliano rende appetitosi piatti come gli “asparagi affogati” e la “pasta al forno”, dall’altro era anche un’attività tipica dell’estate siciliana.
Nei piccoli centri non era raro vedere ampi contenitori rettangolari in legno, con sponde piuttosto basse, piene di pomodoro messo ad asciugare per la strada, accanto alle porte dei pianterreni, in terrazza o sul balcone. Alla fine, quando il colore era passato dal rosso vivo a un bel purpureo vinoso e la consistenza da semiliquida a pastosa, si raccoglieva la crema con le mani unte d’olio e la si sistemava in barattoli di terracotta, ricoprendola con le foglie di alloro.
Era un lavoro molto lungo e paziente, durava non meno di un mese e ogni tanto – malgrado i veli – bisognava andare a controllare che mosche e altri insetti non vi si posassero sopra e, nei giorni dell’ “estratto”, vigeva un tacito accordo tra le donne del caseggiato: nessuna stendeva bucato, batteva tappeti, per non inquinare la lunga nascita dell’ “estratto” altrui. Un vero e proprio rituale famigliare che nelle città al giorno d’oggi non è più possibile replicare. Proprio per questo motivo diviene importante conservare le memorie di un tempo, che caratterizzano la nostra tradizione culinaria, e farle nostre, per riappropriarci dei sapori di una volta. Lasciando via libera al gusto, alla vista e all’olfatto, possiamo così creare delle alchimie gastronomiche che trasformano del cibo avanzato in un succulento piatto, tale da far rivivere, come la madeleine proustiana, i sapori della nostra infanzia.
Questa è anche la speranza dell’autrice: attraverso le ricette illustrate nel volume, far sì che i cuochi moderni possano coniugare le proprie esigenze di velocità ed economicità con una cucina declinata da amore, avanzi e fantasia.
Ma attenzione, o voi impavidi che affronterete questo sentiero: non esiste alcun dosaggio degli ingredienti, proprio perché la quantità degli “scarti” è altamente soggettiva, e alcuni ingredienti sono tipici della città nativa dell’autrice. Ve la sentite di mettervi alla prova e, perché no, magari tentare delle trasformazioni alchimistiche anche voi?Magari aggiungendo anche un pizzico della vostra essenza al piatto. A voi l’ardua sentenza.
Veronica Bergamelli
(www.excursus.org, anno VIII, n. 78, dicembre 2016)