di TATIANA SANDROLINI – “Ma che cosa sto leggendo?”: ecco la reazione che può suscitare la lettura delle prime righe del romanzo Memorie dal sottosuolo. Storia di una nevrosi (Introduzione di Alberto Moravia, traduzione di Milli Martinelli, Bur, pp. 144, € 7,50) di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, ma basta proseguire nella lettura per accorgersi di essere davanti a un capolavoro letterario indiscusso.
Il libro è diviso in due parti: Il sottosuolo, caratterizzata da un profondo monologo con il quale l’autore critica la società dell’epoca e analizza il suo se stesso più profondo, e A proposito della neve fradicia, sezione volta a enunciare alcuni episodi capitati al protagonista durante la giovinezza.
Il sottosuolo
La prima parte del volume è un monologo del protagonista, attraverso il quale analizza senza censura se stesso e la sua condizione di emarginato volontario dalla società, disgustato da un’epoca basata su razionalità e regole matematiche, volte soltanto al raggiungimento di un benessere effimero e una felicità superficiale.
«Io sono un uomo malato… astioso. Sono un uomo malvagio. […] non mi curo e non mi sono mai curato […] io non voglio curarmi per rabbia». Ecco come Dostoevskij introduce il protagonista al lettore, un uomo sulla quarantina che ha deciso di “rinchiudersi nella sua tana” per sfuggire alla falsità degli altri e alle convenzioni sociali che limitano il vero essere dell’uomo; egli si esilia da una collettività di cui non vuole più far parte e dalla quale vuole estraniarsi.
Il “sottosuolo” rappresenta dunque la parte più profonda e recondita di noi stessi, dove non esistono più limiti, dove si nasconde la cosa più importante che abbiamo: la nostra volontà. È questa, secondo l’autore, che riesce a distinguerci da semplici “tasti di pianoforte” senza personalità e ci impedisce di essere marionette manipolate a piacimento.
L’autore non introduce gradualmente il personaggio, non ci “prepara” al suo arrivo con una cornice bucolica o descrittiva di una qualsivoglia ambientazione o azione; si presenta improvvisamente una voce, quasi sgradevole, che comincia a parlare direttamente e apertamente in prima persona, rivolgendosi a spettatori immaginari. Il protagonista, rinchiuso nella sua tana, può finalmente sentirsi libero di analizzare se stesso e la società, spietato e senza peli sulla lingua.
Dostoevskij definisce il sottosuolo come sede del male, lo interpreta come un “vecchio mostro inconoscibile”, lo stesso mostro che Freud chiamerà successivamente inconscio. L’eccelso autore russo affronta dunque per la prima volta un nuovo tema, un nuovo punto di vista, che annienta la percezione dell’eroe romantico del positivismo e si oppone alla visione di una società perfetta fondata su razionalità e regole. Egli introduce un antieroe, personificato da un protagonista brutto di aspetto, ma genuino, puro, che non si lascia incantare dalle false vittorie in cui la società vuol far credere.
L’uomo del sottosuolo preferisce soffrire, essere umiliato, ma seguire la propria volontà e istinto, anche commettendo atti controproducenti o che gli arrechino danno. Non c’è gusto a seguire regole ben prefissate, o definite, se non si può scegliere volontariamente: «Che gusto c’è volere sulla base di una tabella aritmetica? […] Perché l’uomo senza desideri, senza volontà, e senza possibilità di scelta cos’è se non appunto il tasto di una tastiera? […] Dal momento che il nostro volere a un certo punto coinciderà perfettamente con la razionalità allora noi cominceremo a razionalizzare rinunciando a volere».
Un uomo deve avere il diritto di desiderare anche qualcosa che lo faccia soffrire, andando contro le logiche razionali, sapendo di commettere uno sbaglio; ma così facendo manterrà il proprio “volere” e il diritto di ragionare con la propria testa senza seguire la massa, che persegue solo fama e benessere senza sostanza.
Dostoevskij sottolinea che la cosa più importante è conservare la nostra personalità e individualità e che il bene più prezioso dell’uomo sia “la libera scelta”. Un esempio che può descrivere ancora meglio quanto sino ad ora sostenuto è quello relativo alle formule matematiche così razionali e già decise: «Eh, signori, che razza di volontà sarà la mia quando domineranno le formule aritmetiche, quando varrà solo la regola del due-per-due-quattro per tutto il corso dell’esistenza? Due volte due fanno quattro anche senza la mia volontà. Dove starebbe, allora, la mia volontà?».
Memorie dal sottosuolo si presenta irriverente nel mondo letterario nel lontano 1864, presentando riflessioni nuove e mai affrontate prima neppure dallo stesso autore, considerazioni che presenzieranno altri suoi tormentati e famosissimi capolavori successivi, quali Delitto e castigo, I demoni o I fratelli Karamazov. Questo romanzo, nonostante i suoi 151 anni di età, rimane ancora così incredibilmente contemporaneo, trattando temi e problemi che ancora oggi ci toccano e affliggono.
A proposito della neve fradicia
Nella seconda parte vengono narrate alcune vicende vissute dal protagonista anni prima del monologo iniziale, all’età di ventiquattro anni, periodo nel quale è già una persona tormentata da un forte senso di inadeguatezza, che lo porta all’isolamento e al rancore. Egli ci narra con ironico astio alcuni episodi accaduti con altri personaggi, a dimostrazione del suo essere abbietto e spregevole, tanto da cercare una meschina rivalsa su di loro, nonostante si senta costantemente inadeguato e inferiore sia fisicamente che intellettualmente.
Il protagonista racconta, ad esempio, di alcuni screzi avuti con i colleghi durante il suo lavoro negli uffici della burocrazia della città, o della ricerca di rivalsa e vendetta nei confronti di un ufficiale che l’aveva trattato con sufficienza in una bettola. Toccante e profondo è l’incontro che ha con una giovane prostituta di nome Liza, figura che più di tutte riesce a scuotere il suo animo donandogli una dimostrazione di affetto sincero. L’uomo ne è intrigato e inizia a nutrire un interesse per lei. La ragazza ha portato alla luce la sua fragilità, ha messo a nudo i suoi sentimenti: «Ero arrabbiato con me stesso, ma naturalmente dovevo farla pagare a lei. […] Mi avevano umiliato e io volevo umiliare; mi avevano ridotto come uno straccio e io volevo dimostrare il mio potere […]». Riuscirà Liza a far riemergere l’uomo dal sottosuolo, o riceverà solo l’ennesima umiliazione e sprofonderà in un baratro sempre più profondo?
Questo romanzo è ricco di innovazioni, sia stilistiche che tematiche. Leggendolo si è costantemente catturati e avvolti dai suoi tratti contradditori, onirici e ironici. L’autore ci trattiene costantemente in un limbo tra follia e saggezza, con il suo linguaggio spregiudicato e viscerale che riesce a colpire e trafiggere senza via di scampo. Memorie dal sottosuolo ci permette di riflettere su tematiche ancora così attuali, ci sprona a “rimuginare” e ripensare incessantemente alla situazione del protagonista, alla sua sofferenza e al suo costante senso di inadeguatezza. Questo “Io” irrequieto che non vuole conformarsi alle regole imposte, che non vuole perdere il diritto di mantenere la propria identità, questo “Io” tormentato, potrebbe essere senza alcun dubbio inteso come un “Noi”.
L’uomo del sottosuolo non risulta antipatico neppure dopo tutte le angherie che commette, riesce a scavare nella psiche di chiunque e a mettere a nudo le paure e i pensieri di qualsiasi essere umano. L’uomo del sottosuolo è un antieroe che ispira riflessioni ma che al contempo spaventa, poiché è uno specchio in cui ci rivediamo e, in fondo, ci riconosciamo.
Tatiana Sandrolini
(www.excursus.org, anno VII, n. 71, luglio-agosto 2015)