di ELISA MOSCA – «Quelle ragazze – diceva la gente – credono di poter fare tutto ciò che vogliono e cavarsela sempre». Inizia così l’unico romanzo mai pubblicato di Zelda Sayre Fitzgerald (Lasciami l’ultimo valzer, traduzione di Flavia Abbinante, Bollati Boringhieri, pp. 266, € 19,00).
Fin dall’inizio il libro sembra prendere vita dai ricordi del periodo più intenso e frenetico della sua vita: gli anni Venti, i celebri Roaring Twenties, che lei stessa aveva contribuito a rendere come oggi li conosciamo. Anni che vanno tanto di moda oggi e che, in realtà, sono un fenomeno molto più complicato di quel che sembra, nei quali possiamo immergerci grazie alla protagonista di questo scritto, Alabama.
Alabama è moglie di David Knight, un pittore di cui si è innamorata appena diciottenne e che seguirà nella ricerca disperata di fortuna, successo e soldi. La giovane donna tenterà una carriera come ballerina, riuscendo ad ottenere anche qualche riconoscimento, dedicandosi anima e corpo alle lezioni parigine che diventeranno per lei vera e propria ossessione e unica ragione di vita.
La trama apparentemente leggera del libro nasconde e prepara ad una riflessione più profonda che accompagna l’analisi della vita della coppia lungo gli anni, una passione che sembra calare proprio mentre l’Età del Jazz suona le sue ultime note. Il romanzo racconta un amore difficile, ostacolato dall’ambizione, dall’orgoglio, dalla continua competizione che i due personaggi sentono intercorrere tra i loro sogni di successo. Alabama invidia il successo di David, invidia il suo talento, invidia più di ogni altra cosa che la sua bravura venga apprezzata e riconosciuta da tutti gli amici di cui si circondano a Parigi.
I due protagonisti si separano mentre Alabama insegue il suo sogno di diventare ballerina professionista a Napoli, ma la ricerca di serenità continua. Non è un romanzo sulla danza classica, anche se emerge chiaramente la passione dell’autrice per questa dura disciplina che lei aveva praticato per prima, con scarsi risultati. La narrazione sembra farsi morbosa e faticosa mentre descrive le lunghe ore trascorse a lezione da una vecchia ballerina russa, riportando così sulla carta l’importanza esagerata che Zelda aveva dato in vita alla danza.
Nel libro traspare, infatti, un prepotente lato autobiografico che mette in luce non solo i primi problemi psichici di cui l’autrice già soffriva al momento della pubblicazione del libro nel 1932, ma anche il travagliato rapporto con il marito, famoso scrittore e vera e propria icona: Francis Scott Fitzgerald.
La prima stesura venne scritta durante il periodo del primo breve ricovero di Zelda in una clinica psichiatrica di Baltimora, per poi essere timidamente inviata all’editor del marito, e ormai amico di famiglia, MaxPerkins. Il semplice invio del manoscritto provocherà una profonda frattura all’interno della coppia già devastata dalle insicurezze di Scott e dall’ambizione di Zelda. L’autrice inviando il manoscritto direttamente a Perkins aveva scavalcato l’opinione di Scott, che ne rimase incredibilmente sorpreso per poi andare su tutte le furie accorgendosi che Zelda per scrivere la sua opera aveva attinto dalla stessa materia autobiografica, che inevitabilmente condividevano, che lui stava usando per il suo nuovo romanzo che avrebbe dovuto essere pubblicato prossimamente (due anni dopo, nel 1934), Tenera è la notte.
Le trame dei due libri sono profondamente diverse, ma è inevitabile scorgere quanto il vissuto condiviso abbia influenzato i due autori. È quindi di estremo interesse leggerli entrambi, non soltanto per l’alta qualità della narrazione, ma anche per i due sguardi che offrono del proprio tempo, della generazione perduta che avevano indiscutibilmente contribuito a formare. Due punti di vista vicini, quasi sovrapponibili, ma al tempo stesso così in contrasto nel definire i rispettivi personaggi.
Lasciami l’ultimo valzer, Save me the waltz per l’edizione americana, è un romanzo da troppo tempo dimenticato, l’unico lasciato dalla regina delle flappers e moglie di Francis Scott Fitzgerald, l’uomo il cui nome si associa come simbolo indiscusso degli anni Venti. Con questa lettura emerge quanto il rapporto tra i Fitzgerald fosse intenso e conflittuale, come Zelda avesse paura di passare inosservata di fronte al successo del marito, e quanto a sua volta Scott temesse che il talento della moglie fosse la linfa del proprio.Tenera la notte e Lasciami l’ultimo valzer sono il canto del cigno di un’epoca, non soltanto di chi aveva contribuito a renderlaciò che oggi conosciamo e che sembra andare tanto di moda. Il canto del cigno di una generazione che forse ha corso troppo, credendo troppo ingenuamente a tutti i sogni che la vita sembrava offrirle, ma che altro non era se non una«luce verde» sbiadita in fondo ad un pontile, proprio come l’illusione di Gatsby sembrava presagire già nel 1926.
In conclusione il romanzo di Zelda non si limita ad offrire lo scorcio di un’epoca che oggi continua ad incuriosire molto, ma ci offre anche una narrazione fluida, uno stile tutt’altro che monotono, una trama che scivola via portando con sé il mistero di chi la vita raccontata in questo romanzo l’ha vissuta per davvero. Possiamo quindi cercare tra le pieghe della personalità di Alabama quelle di Zelda, e tra i pregi e i difetti di David quelli di Scott, un vero e proprio romanzo nel romanzo, che riporta in vita, grazie anche all’ottima traduzione, i Fitzgerald e i Roaring Twenties.
Un’opera delicata, quasi fosse una coreografia da ballare sulle punte, seguendo i passi di Alabama e sbirciando da dietro le quinte quelli che da fuori sembrano essere soltanto gli sfavillanti e sfrenati anni Venti. In Lasciami l’ultimo valzer sembra quasi di sentire le ultime note di una melodia giunta alla sua conclusione che ci trasporta di nuovo nella realtà, dopo aver assaporato i boulevard parigini, il teatro San Carlo di Napoli e la frenetica New York in cui Zelda ci ha accompagnati raccontando la storia di Alabama, e forse anche un pezzetto della sua.
Elisa Mosca
(www.excursus.org, anno VII, n. 72, ottobre-novembre 2015)