di ALESSANDRA TESTA – Questo primo romanzo di Pietro Allevi, I pesci rossi quando ridono (Prefazione di Ezio Gavazzeni, Wlm Edizioni, pp. 168, € 13,70) concentra dentro di sé tutte le emozioni inconfessabili di una mente allo sbando. Il breve percorso proposto dall’autore viaggia dritto nel baratro della solitudine e della stanchezza di vivere. Senza annunciarlo, segue il protagonista nel suo addentrarsi nella palude senza speranza di un’ossessione: il testo è privo di raziocinio, totalmente emotivo e tragico fin dalla prima pagina.
Diego è un giovane uomo consumato da un incubo che rischia di mandare a monte un’identità ben costruita e apparentemente stabile. La sua relazione con Sara lo farà diventare padre, ma cade nella curiosità di voler provare un’esperienza con una prostituta transessuale ed entra inconsapevolmente in una spirale di bisogni inaspettati. Cerca l’amore estremo, come se fosse l’unica panacea efficace per lenire il dolore che la vita gli ha provocato fino a quel momento.
Ripercorre gradualmente l’esperienza del proprio passato: rapporto con la madre, gli anni in collegio, il fratello ritrovato e la convivenza col padre. Tutti questi elementi sono evocati senza un nesso e, disordinatamente, Diego attraverso di essi trova la strada per interpretare la sua vita. Le persone che la popolano si muovono distrattamente sul terreno dei suoi pensieri del protagonista, così egli si ritrova eternamente diviso tra un passato trascinante, un presente banalizzato dalla quotidianità e una ricerca disperata della passione più sfrenata, per placare quel “fuoco osceno” che lo brucia ormai da troppo tempo.
Fin da piccolo, Diego insieme al fratello Lorenzo è in balia della noncuranza della madre, Azzurra, i cui amanti fanno del primo dei due ragazzini uno strumento di piacere. Ed è proprio attraverso questa brutalità che il bambino conosce l’amore fisico. Ma, se le sue esperienze omosessuali sono descritte fino all’ultimo dettaglio, queste violenze infantili sono solo accennate nella loro mostruosità. Come se in questo caso una traccia bastasse più di mille parole, anche delle più forti. Senza che il ragazzo lo capisca e lo interiorizzi, questi eventi segnano indelebilmente la sua personalità scavata dalle incertezze e dalla confusione. Non è chiaro se l’autore voglia veramente ricondurre le sue inclinazioni presenti a qualche trauma passato, ma certamente richiama situazioni canoniche e, purtroppo, ben note di violenza nei confronti dei minori.
Il romanzo, anche se a tratti spinto e in certi punti forzatamente tragico, consegna al lettore un’esperienza intima, costruita su pensieri fugaci e indesiderati, negando totalmente laprivacy dell’animo che viene osservato e spogliato di ogni artificiosità. Diego è senz’armi e consapevolezze, nella faticosa ricerca dell’amore occasionale che considera come assoluto e meraviglioso. Quella del protagonista è una ricerca dell’illusione, che seppur momentanea, apre i suoi occhi alla speranza della felicità.
«Una casa è dove sei felice, dice quell’uomo nascosto dietro a delle casse di una vecchia Ford milleotto benzina, non canta, recita le parole come avesse paura a pronunciarle, come non volesse farsi ascoltare da nessun altro all’infuori di me, un segreto. Intono la melodia con la bocca, come quando di una canzone non si conoscono le parole, e si canta per finta, con la bocca chiusa, e delle strofe che continuano a nascondersi dietro ai denti».
Home is where you’re happy, canta fra sé e sé il protagonista sulle note di Willie Nelson, che una casa ce l’ha, ma preferirebbe fosse sulla strada, vicino a quelle vite mercificate e isolate, che gli riempiono il cuore e la mente ogni notte. Di una di loro s’infatua dolcemente: la bellezza brasiliana Vicky che egli cerca costantemente nelle vie buie. Ma non esiste alcuna felicità sull’asfalto, come in nessun altro luogo. «È sicuro che non c’è un solo posto che noi chiamiamo casa, ce ne sono tanti, diversi gli uni dagli altri, tutte case felici dove io mi sentirò al sicuro se per tutto il tempo tu starai con me, Vicky». Pietro Allevi
Allevi indirizza il lettore in tale voragine di disperazione, assemblando una confessione disordinata e dispersiva. Le figure di questo libro nella loro semplicità arrivano dritte al punto, descrivendo minuziosamente i tormenti malcelati di questa penosa discesa nel buio. Seguire l’andamento di questi pensieri sconnessi non è facile e mai scorrevole, ma l’autore utilizza tutti i suoi mezzi per alleggerire la storia, arricchendola con eloquenti immagini dal passato. Tornando in continuazione all’infanzia, getta luce sugli eventi e i comportamenti che caratterizzano il ragazzo.
Uno di questi riguarda la maestra d’italiano di Diego, che con la sua eccentrica bombetta e il rossetto rosso sulle labbra, narra al ragazzo un racconto attraverso cui egli possa comprendere il significato della parola ‟destino”. Ne L’uomo che cade il protagonista vuole porre fine alla sua vita, ma arrivato in cima al palazzo da cui ha deciso di buttarsi, scopre che il cornicione è piuttosto affollato di persone che, come lui, vogliono farla finita. All’improvviso qualcosa impedisce il suo lanciarsi nel vuoto. Infatti, adesso ha paura di guardare dal basso verso l’alto. Ciò fa sì che egli non possa porre fine alla sua vita con questo gesto estremo.
Tale mano incorporea che lo trattiene di modo che non scivoli dal tetto è il destino. Un qualcosa fatto di una sostanza invisibile, che tocca le corde interiori di Diego quando prende la stessa decisione. Ma, il fato è anche un pesce rosso in copertina, che sembra ridere e sapere come tutto andrà a finire. Pietro Allevi
Ci sono tre cose al mondo che non si scordano, gli ricorda spesso la madre Azzurra: la gioventù, la mamma, il primo amore. Con queste altre parole rubate a una canzone Diego riflette sulla perdita della sua giovinezza, che già a 22 anni sembra un miraggio del passato. La madre, una volta amata incondizionatamente nonostante il comportamento criticabile, è dimenticata anch’ella. Il primo amore, come una beffa, è l’unica cosa che rimane a riempire le notti e i pensieri. Il fuoco interiore, l’unico strumento per sentire la vita scorrere all’interno di un corpo distrutto.
Alessandra Testa Pietro Allevi
(www.excursus.org, anno VI, n. 64, novembre 2014) Pietro Allevi