di MARCO GATTO – Il breve saggio che mi accingo a introdurre – scritto da un giovanissimo studioso, probabilmente alle prese con uno degli autori che segnerà la sua formazione umana e intellettuale – ha il pregio di soffermarsi su alcune basilari questioni della poesia di Pier Paolo Pasolini. Non v’è oggi, probabilmente, autore della letteratura italiana cosiddetta ‘contemporanea’ più esposto al rovello delle interpretazioni e al dibattito delle idee.
E ciò sarebbe senz’altro positivo e costruttivo, se solo non vivessimo in una società che accorda alla letteratura, o più in generale all’umanesimo, un ruolo pressoché marginale, in una società, vale a dire, che giornalmente amministra e gestisce persino il confronto ideologico e culturale, nell’ottica, ormai acquisita da molti ambienti dell’intellighenzia ufficiale, di una riduzione della complessità a favore dell’estemporaneo giudizio di gusto. Paradossale è dunque che, nel momento in cui sembrano prendere corpo le diagnosi apocalittiche del Pasolini ‘corsaro’, la sua immagine di scrittore divenga onnipervasiva nelle pletore di quella società dello spettacolo che tanto l’autore bolognese aveva criticato, ambendo a esserne addirittura una sorta di cancro parassitario.
La riduzione di Pasolini a icona del mortifero consumismo culturale di massa nasconde, forse, la volontà di addomesticare quella brulicante ‘pulsione vitale’ dell’Io poetante – che, in fin dei conti, rimane il dato politico della sua produzione in versi –, colta da Leonardo Gatta nel suo dinamismo e nella sua dimensione cangiante, aperta, molteplice. La restituzione processuale dell’avventura letteraria di Pasolini è dunque il primo passo da compiere, se si ha ben presente e chiaro il rischio, tutto odierno, di concepire la cornice umanistica alla stregua di un mondo destoricizzato e sciolto da qualsiasi realtà materiale.
Gatta ripercorre con velocità le tappe di un itinerario poetico e ideologico che dalle poesie dialettali di Casarsa, ancora invischiate in una logica mitica e profondamente estetizzata – quella aurorale del Poeta che sonda un mondo premoderno e arcaico, in cui riconosce una forma salvifica di speranza – conduce sino al grande capolavoro pasoliniano de Le ceneri di Gramsci, dove esperienza biografica, corporeità e visione politica incontrano il terreno della Storia, nella forma di una poesia nuovamente e fortemente civile.
All’interno di questo percorso, Gatta individua, inoltre, alcuni testi-apripista, in cui più vivo appare il senso di una trasformazione interna della poetica pasoliniana. Mutazione che conduce l’autore a dismettere i panni del Narciso letterario, proiettato in modo spesso astratto ed estetizzato verso una realtà colta con gli strumenti ideologici dell’eternità o dell’assolutezza mitica, e a vestire quelli, profondamente umani e corporali, del Poeta-ramingo, di quella ‘forza del Passato’ che, scontando la sua irrimediabile diversità di poeta borghese dal mondo attraente e vitale del sottoproletariato, sa però offrire una lucidissima restituzione del dramma personale e storico che vive. Nell’insistere sull’esperienza romana come momento basilare ai fini di tale metamorfosi letteraria consiste poi un altro dei meriti dello studio di Gatta. Non già perché, com’è noto, Pasolini incontri nella ‘stupenda e misera città’ una realtà sociale più complessa del mondo contadino del Friuli, ma perché il ribadire la centralità del periodo capitolino permette di comprendere quanto la necessità di ricorrere alle forme del poemetto civile sia dettata da ragioni sì espressive, ma anzitutto politiche e umane.
Il Pasolini de Le ceneri è il poeta che registra, con più ampiezza di particolari rispetto ad altri, la drammatica scomparsa di una civiltà e di un modo d’essere degli italiani – e la sua unicità consiste nel sovrapporre a questa morte un ulteriore lutto, quello della poesia o, per meglio dire, della grande tradizione letteraria occidentale, di cui il futuro regista diAccattone si sente, seppur controvoglia, erede. Due morti in una, si direbbe, che possono essere riassunte dall’invito al lettore a celebrare, persino corporalmente, la scomparsa dell’umanesimo.
Il Pasolini degli ultimi anni – orientato a comprendere le ragioni del Potere e il dominio capitalistico dei corpi, a diagnosticare una mutazione antropologica che avrebbe trovato tristemente conferma, in Italia, negli abominevoli anni Ottanta del secolo scorso – nasce, tutto sommato, dalla lucida confessione de Le ceneri, nell’esplicitazione diretta dello scandalo ontologico che pervade la sua esperienza di poeta. Lo scandalo d’essere, cioè, da intellettuale borghese, il figlio degenere o il ‘feto adulto’ di una Madre – la poesia – ormai ridotta al silenzio dalla volgarità della società consumista.
A Pasolini dobbiamo oggi anzitutto questo: svuotarlo del mito che il mondo spettacolarizzato della “cultura” ha voluto ricamargli addosso e consegnare alla sua figura gli strumenti di un’indagine più complessa e meno legata a stereotipi e pregiudizi. Sono certo che quest’opera di ricostruzione passi anche dal contributo che giovani studiosi come Gatta possono dare, mantenendo vivo il fuoco della ricerca.
Marco Gatto
Su gentile concessione della Pungitopo Editrice, pubblichiamo in anteprima la Prefazionedi Marco Gatto al saggio Il personaggio in corsa. Pasolini e la poesia prima di Leonardo Gatta (pp. 72, € 8,00), in libreria da pochi giorni.
La redazione
(www.excursus.org, anno VI, n. 60, luglio 2014)