di TATIANA SANDROLINI – Quante volte vi è capitato di voler evadere dal mondo anche solo per un attimo? Desiderare di staccare la spina e scaricare le tensioni della vita quotidiana organizzando una bella escursione, magari soli, in luoghi sperduti, dove regna soltanto l’assordante silenzio della natura?
Scommettiamo, tuttavia, che a nessuno sia mai capitato di imbattersi in un cucciolo di cane abbandonato… in fondo a un canyon in Arizona!
A Zachary Anderegg è successo. È lui l’autore di Quello che ho imparato da Riley (traduzione di Maura Parolini e Matteo Curtoni, Tea, pp. 226, € 10,00), nel quale, grazie alla collaborazione dello scrittore e giornalista Pete Nelson, racconta questa incredibile storia, realmente accaduta e di come quell’incontro abbia cambiato la vita dell’animale e, soprattutto, la sua.
Zac è un giovane americano che pare avere tutto dalla vita: ha una moglie, Michelle, che adora e che lo sostiene in tutto, un cane, un lavoro che non sempre regala le soddisfazioni desiderate, ma perlomeno stabile. Quello che forse non si nota dall’esterno è che il ragazzo ha anche moltissimo rancore, un sentimento che si porta dentro dal passato. La sua infanzia è stata tutt’altro che spensierata, a causa di continui atti di bullismo di cui è stato vittima per anni e dell’inesistenza di una famiglia che potesse o volesse aiutarlo.
Nel corso degli anni tenta in ogni modo di lasciarsi alle spalle gli abusi subiti, arruolandosi persino nell’esercito, ma non riesce mai ad approcciarsi in maniera serena alle situazioni che la vita gli offre.
Zac reprime tutto dentro di sé, imparando a contare solo sulle sue forze. Ama compiere escursioni in solitaria, per evadere dalla quotidianità, senza mai allontanarsi troppo da casa e dalla moglie, l’unica alla quale confida i suoi spostamenti e colei che ha il compito di contattare i soccorsi nel malaugurato caso che egli non si faccia vivo entro un’ora stabilita.
Il giovane è molto preciso e prepara ogni scalata con minuzia e cura dei dettagli; un equipaggiamento errato potrebbe pregiudicare la riuscita dell’impresa, o persino metterlo in serio pericolo di vita.
Nel giugno del 2010 Zac sceglie la sua meta: uno slot canyon (grande “fessura” nel terreno formatasi nel corso di milioni di anni dal movimento erosivo dell’acqua e del vento) nel deserto dell’Arizona, a circa sei ore d’auto dalla sua abitazione. Il cielo è limpido e pare non esserci alcun turista nei paraggi che possa rovinare la sua voglia di solitudine.
Durante la discesa nella grande cavità del canyon, Zac intravede qualcosa di strano sul fondo, qualcosa di scuro che sembra muoversi: «Mi fermai in cima al costone e guardai nella cavità. Scorsi qualcosa e il mio cuore prese a battere più forte. Ero sbigottito, più che sorpreso. […] A meno che non si trattasse di un’allucinazione, davanti ai miei occhi c’era un cane».
Da quel momento per Zac comincia una corsa contro il tempo, per salvare il povero animale denutrito e stremato da quel luogo privo di esistenza. Deve agire tempestivamente per riuscire a tirarlo fuori e condurlo in un centro veterinario prima che le forze del cane svaniscano del tutto.
L’uomo comincia a domandarsi con insistenza chi abbia potuto compiere un’azione così spregevole. Chi può avere il coraggio di abbandonare un piccolo animale indifeso in un luogo dimenticato da tutti, condannandolo a morte certa?
Nella mente di Zac qualcosa si sblocca e iniziano a riaffiorare iterribili ricordi degli anni passati a fuggire e nascondersi dai bulli che lo avevano preso di mira. La visione del cane scheletrico in fin di vita riapre le sue ferite, facendogli rivivere tutti i soprusi, le cattiverie subite da bambino e le conseguenze che si è trascinato per tutta la vita adulta.
Per quanto si tenti di dimenticarle o nasconderle, certe emozioni prima o poi riemergono e non si può fare altro che affrontarle. L’autore alterna il racconto del salvataggio dell’animale, chiamato in seguito Riley, a numerosi flashback della sua vita passata, con l’intento di far capire cosa prova una vittima di bullismo e cosa può invece portare il carnefice a divenire tale. Egli rende il lettore partecipe del rischioso e toccante salvataggio a più di trenta metri di altezza e lo porta a immedesimarsi nel senso di inadeguatezza e paura che egli ha percepito per anni.
Da questo libro si possono ricavare diversi spunti che spingono a riflettere sulla nostra vita e sui legami che abbiamo con gli altri. Molto apprezzati sono pure i riferimenti riportati in calce al libro, nei quali compaiono anche numerosi link di foto e video che documentano il salvataggio e lo stato attuale di salute del cane, adottato dallo stesso autore.
Il libro di Zac vuole essere una testimonianza di rinascita, un ritorno alla vita da parte di entrambi: «Se qualcuno mi dicesse che ho salvato Riley appena in tempo, sarei d’accordo con lui. Se qualcuno mi dicesse che Riley è entrato nella mia vita appena in tempo per salvare me, mi troverebbe d’accordo con tutto il cuore».
Tatiana Sandrolini
(www.excursus.org, anno IX, n. 80, febbraio 2017)